sabato 29 dicembre 2012

storia di fulmini e di temporali.



Frankenweenie
id., 2012, USA, 80 minuti
Regia: Tim Burton
Sceneggiatura non originale: John August
Basata su Vincent e Frankenweenie di Tim Burton, scritti da Leonard Ripps
Voci originali: Charlie Tahan, Catherine O'Hara, Martin Short,
Winona Ryder, Martin Landau, Robert Capron, Conchata Ferrell
Voto: 7.2/ 10
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Appena arriva il minimo successo ecco che il regista già abbastanza famoso inizia a diventare uno sforna-prodotto, ché non si chiama più nemmeno autore, proprio regista: riceve una sceneggiatura, e la mette in piedi, qualcuno gli propone una cosa, e lui la fa. E dopo che gli stavano andando già bene le cose, prima La Fabbrica Di Cioccolato e poi Alice In Wonderland hanno fatto diventare Tim Burton uno-di-quelli che sfornano un film all'anno (leggi: Woody Allen), addirittura quest'anno ne ha sfornati due (leggi: Clint Eastwood). E la vecchia fantasia l'ha lasciata alle ortiche: il primo film, era una specie di remake di una serie anni '70, questo è l'allungamento di un suo corto degli '80.
A (ri)scrivere la storia ha(nno) chiamato il compagno degli ultimi tempi, il John August già autore di Dark Shadows, La Sposa Cadavere, Big Fish (ma anche i due Charlie's Angels). La produzione è quella degli ultimi tempi, la Disney. L'ambientazione, la solita, di tutti i tempi: personaggi creepy con la faccia triangolare e molta matita intorno agli occhi e qualche dente di fuori e la gobba. Il meno patchwork, si chiama di cognome Frankenstein. Victor, di nome. Asociale, emarginato, sempre chiuso in soffitta a smanettare con il tostapane della madre, col frullatore, con le prese della corrente, con il mixer, il frullino, il fornetto. Il padre lo vorrebbe giocatore di baseball. I compagni lo vorrebbero in gruppo solo per la mostra dei progetti di scienze, perché ha la vittoria assicurata. Non vi ricorda, largamente, niente, questo protagonista pre-adolescente in clima goth?
L'errore di questo film in bianco e nero (con una fotografia immensa) è che esce dopo uno a colori (e che colori!), ParaNorman, una vittoria che pensavamo fosse certa dappertutto e su ogni cosa, prima di vedere Ralph e prima che Le 5 Leggende fosse stabile in classifica americana tra i cinque film più visti del mese. Come quello della Laika, il film della Disney fa affidamento a un climax cittadino che là sfociava in una festa semi-patronale e qua in una fiera semi-scolastica che si tiene l'ultima parte del film; là c'era una strega, qua una serie di creature tornate in modo elettrifico dal mondo dei morti (scimmie di mare, gatto-strelli, tartarughe giganti) e in entrambi i casi il protagonista, reietto sociale, si circonda di persone che prima se lo filavano appena e tutti insieme appassionatamente sconfiggono il male, fino a raggiungere l'approvazione della città. Il tema del film, in realtà, e cioè ciò che viene “rubato” ai due corti precedenti, Vincent (che è all'interno di Cinema 16) e l'omonimo Frankenweenie, è la storia di una separazione non accettata per cui si riporta in vita dal mondo dei morti il cagnetto domestico. E questa è la parte migliore: il (seppur silenzioso, e breve) saluto a tutti quei film anni '20 che giocavano sul ruolo e la figura del pazzo da laboratorio circondato da pozioni e intrugli e soprattutto saette luminose e rivoli di elettricità, che era già stato salutato un lustro fa da Almodóvar. Ma l'immenso repertorio lasciatoci da Mary Shelley non viene nemmeno preso in considerazione, e si ritorna sulle solite figure e i soliti puppet che nelle versioni disegnate quasi ci piacciono di più.
Il dettaglio più simpatico, in questo primo grande cartone animato della storia in cui non c'è neanche una battuta, in cui non si sorride mai: che al cinema del paese stanno proiettando Bambi.

il film norvegese.



Kon-Tiki
id., 2012, Norvegia, 118 minuti
Regia: Joachim Rønning & Espen Sandberg
Sceneggiatura originale: Petter Skavlan
Con la consultazione di Allan Scott
Cast: Pål Sverre Valheim Hagen, Agnes Kittelsen,
Anders Baasmo Christiansen, Gustaf Skarsgård, Tobias Santelmann,
Odd Magnus Williamson, Jakob Oftebro
Voto: 7.9/ 10
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Quando questo blog profumava ancora di rosa ed io odoravo di diligenza e mi sorbivo tutti i film che tutti gli stati mandavano agli Oscar mentre pregavano le loro divinità per la nomination al Miglior Film Straniero, era successo che m'ero imbattuto anche nei bizzarri film nordici, tipo quello norvegese, che si chiamava Happy Happy e parlava di uno scambio di coppie tra le baite sulla neve e un ri-cambio finale tra i giochi di società. Era, protagonista di quel film, Agnes Kittelsen, indimenticabile per i suoi occhi giganti e la sua bocca immensa, ma mai avrei pensato di ritrovarla, un giorno, in un altro film da recensire. E invece.
La Norvegia la ri-scrittura per un filmone colossale, un'epopea, perché la Norvegia, nel 1951, aveva già vinto un Oscar, ma al Miglior Documentario, per questa follia di mare che tale Thor Heyerdahl, antropologo, biologo, archeologo, esploratore laureatosi all'Università di Oslo, aveva registrato in Super8, e la Norvegia, poveretta, un Oscar al Miglior Film Straniero non l'ha mai avuto: soltanto quattro nominations, e nemmeno la partecipazione a tutti gli anni.
Dopo Max Manus, allora, biografia dell'oppositore norvegese durante l'invasione della Germania nazista, con cui pure erano stati inviati all'attenzione dell'Academy, la coppia Joachim Rønning - Espen Sandberg torna al cinema alla grande, alla grandissima, prendendosi praticamente tutti i finanziamenti nazionali per un'altra storia vera, un'altra specie di piccola biografia, di questo Thor Heyerdahl appunto, e di come ha girato il suo documentario dal titolo, pure quello, Kon-Tiki.
Dieci anni trascorsi con la moglie in Polinesia a contatto col popolo di lingua francese ad ascoltare i loro racconti lo porta a supporre, anzi accertarsi della possibilità per i popoli sud-americani di raggiungere l'isola oceanica senza l'utilizzo di grandi mezzi ma solo con una zattera e la corrente naturale, e di colonizzare poi la zona. La progettazione dell'esperimento, del rifacimento della missione, ovviamente non verrà finanziata da nessuno, neanche dai più aperti e disponibili antropologi americani, ma la testa dura di Thor, che in testa ha solo la riga tra i piattissimi capelli biondi di Pål Sverre Valheim Hagen, gli farà incontrare un finanziatore che diventerà il Mulan della ciurma, quello fuori luogo, quello che fa sempre la cosa sbagliata, che si preoccupa del legno che assorbe l'acqua e delle corde che si allentano.
Dalla partenza in Perù in poi, anche qui, è tutto un rimando ai film d'avventura e di sopravvivenza e di lotta contro le intemperie del mare. È, ancora, una Vita Di Pi non capitata ma scelta, non solitaria ma in compagnia: uno suona la chitarra, uno cerca di far funzionare la radio, uno traccia il percorso fatto sulla cartina disperandosi perché il vento soffia a nord e non ad est. Anche qui ci sono le balene, gli squali, i pesci volanti, le meduse luminose. Anche qui la telecamera fa peripezie e ci mostra i poteri del cinema: a volte va sott'acqua, a volte ci illude che sta per succedere qualcosa. E mentre Pi pareva girato in uno stanzone gigante con degli elementi posticci intorno alla barca, qui la zattera (troppo perfettamente costruita) pare si trovi sul serio in mare, che sobbalzi ad ogni onda, mentre gli uomini a bordo dimagriscono sempre di più e si ricoprono di barbe biondissime, quasi bianche.
Un The Aviator nordico, un kolossal che nella prima parte dimostra quanto anche un Paese così poco considerato a livello cinematografico possa essere accurato nella ricostruzione degli anni '30, nelle macchine e nei locali e nei vestiti, nella prefazione-flashback a cui poi si ritorna. Certo, un film la cui storia è trita e ritrita e palesemente prevedibile, ma intorno alla storia c'è sempre dell'altro, e questo film è fatto di quell'altro, e l'America l'ha messo tra i nove migliori film stranieri di quest'anno.

mercoledì 26 dicembre 2012

se mi baci ti dico di sì.



Tormenti
Film Disegnato
id., 2011, Italia, 80 minuti
Regia: Filiberto Scarpelli
Sceneggiatura originale: Furio, Giacomo e Filiberto Scarpelli
Soggetto e disegni: Furio Scarpelli
Voci: Alba Rohrwacher, Luca Zingaretti, Valerio Mastandrea,
Omero Antonuti, Elio Pandolfi
Voto: 7.7/ 10
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Come tutte le storie, questa è una storia che si narra da sé.
Ma dietro di sé, c'è la voce narrante di Omero Antonuti, timbro cardine e brillante di certo cinema italiano, voce di nonno che spiega nel dettaglio gli aspetti meno noiosi delle fiabe quando siamo a letto, voce splendida che qui si avvale di una splendida, più che splendida sceneggiatura, un testo fuori campo arguto, intelligente, pieno di frasi che se fossero in un libro le sottolineeremmo.
Brillano anche i dialoghi, che sono quasi tutti chiusi in questo triangolo sentimentale: la modesta Lolli, poca cultura e poca vita mondana e tanta giovinezza sotto un caschetto nero ondulante, si imbatte, durante una serata di gala, nel Rinaldo Maria Bonci Pavonazzi che esplode fuori dal petto di quest'uomo non così giovane, non così piacente (anzi, racchio), il quale alla prima frase «lo spumante mi pizzica il naso» perde la testa e cade innamorato. Più o meno. Mentre Lolli, stregata da tanta cultura, affascinata dalla divisa e dalla compostezza e, soprattutto, dall'eleganza, gli va dietro come il cane al padrone. E lui passa i giorni a offrire bicchieri raccontando le sue posizioni nel mondo, e lei passa i discorsi ad ascoltare e non guardare. Finché questa relazione di formazione la farà crescere, e andare via, e lasciare questo borioso personaggio tanto odiato dal narratore nel suo crogiolarsi, nella sua disperazione, che lo porteranno a vedere le prostitute solo per parlare di sé.
Lolli, riprendendosi dal tempo perso con «lo stronzo», frequenterà un altro locale con dell'altra gente e squadrerà il volto greco e la prodezza sportiva di Mario Marchetti, pugile che ogni tanto vince e ogni tanto no, con ideali comunisti e parlata romanesca, l'opposto di Rinaldo insomma, e perderà la testa per lui, al punto da seguirlo in guerra, con la truppa anti-fascista e anti-nazista, l'anti-truppa insomma, mischiata a tedeschi e francesi e americani.
Nella bocca del Pavonazzi, cognome che mai fu più azzeccato, c'è Luca Zingaretti che ora squilla come un megafono ora si contorce per l'artrite; dietro a Mario invece Valerio Mastandrea, che ha questo potere di farci credere sempre che stia improvvisando, sempre così naturale, sempre così spontaneo... Si incontrano in sala di doppiaggio, entrambi, con Alba Rohrwacher che è qui protagonista assoluta, e si salutano poco dopo aver condiviso lo schermo per Il Comandante E La Cicogna. Alba è sempre se stessa, e la sua faccia corrucciata e ingenua viene spesso in mente nel sentirla parlare e conversare col narratore.
Ma non si tratta di bocche che si aprono e persone che si muovono.
Tormenti (che titolo magistrale!), che esce ora in DVD nei negozi e in edicola con Ciak e Panorama, è un “film disegnato” perché così è, disegnato, e non animato: la famiglia Scarpelli ha messo insieme i disegni lasciati dal buon Filiberto, giornalista, disegnatore di satira, avanguardista morto nel '33, disegni ora troppo sporchi ora con i contorni troppo larghi, minuziosi o abbozzati, i cui personaggi non sempre si riconoscono tra una scena e l'altra, e sotto la sceneggiatura di Furio Scarpelli, figlio, li mette in ordine a formare una storia d'amore e di guerra - con la maestria di chi ha regalato le storie migliori al cinema italiano; Furio è infatti “quello Scarpelli” che insieme ora ad Age ora a Monicelli ha ricevuto tre nominations all'Oscar per I Compagni, Casanova 70 e Il postino (ma ha anche scritto Sedotta E Abbandonata, C'eravamo Tanto Amati, Opopomoz...). E se all'inizio questo nuovo genere di animazione ci è un po' ostico, ci abituiamo dopo pochissimo, un po' perché abbiamo un immenso oratore, un po' perché, in questo libro con figure, c'è anche la musica degli anni '20 che abbiamo dimenticato, e che ci fa sorridere.

lunedì 24 dicembre 2012

il giovane e il mare.



Vita Di Pi
Life Of Pi, 2012, USA/ Cina, 127 minuti
Regia: Ang Lee
Sceneggiatura non originale: David Magee
Basata sul romanzo Vita Di Pi di Yann Martel (Piemme)
Cast: Suraj Sharma, Irrfan Khan, Rafe Spall,
Gérard Depardieu, Ayush Tandon, Tabu, Adil Hussain
Voto: 8.1/ 10
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Uno sguardo nell'acqua di notte, dopo giorni di stenti e di digiuno, giorni passati a lottare per la sopravvivenza contro piogge di pesci, maremoti di balene, cibo da spartire con una tigre del Bengala. Un'occhiata nell'acqua buia e l'allucinazione: un pesce, assalito da un calamaro, e poi un mosaico di altri animali, quelli dello zoo dell'infanzia, dell'orto botanico della famiglia indiana, animali che si staccano dal grappolo e se ne vanno nel mare, e poi altri pesci, altre luci, la telecamera che avanza tra le alghe, tra le bolle, ecco: si forma un volto, e poi ecco: la nave affondata, la nave su cui era tutta la famiglia, tutti gli animali dello zoo, del giardino botanico, tutte le speranze del passato, i ricordi.
Poi, l'incanto, l'allucinazione finisce. E tutto il film vale questa scena.
Perché, in fondo, il film, ha solo questo: una trama piccola piccola che si riassume in una riga e mezzo (uno scrittore col blocco si fa raccontare da un sopravvissuto a una tempesta il modo fantastico in cui ha passato i mesi in mare, su una barca con una tigre) e, intorno a questo, intorno a questo indiano e a questa barca bianca e a questa tigre, tutto ciò che Dio ha creato, tutta la natura, la fauna marina, la flora. Tutta fatta in digitale, con effetti che riceveranno un Oscar mai meritato così tanto, perché mentre ne Lo Hobbit e ne Il Cavaliere Oscuro ci sono sempre le solite cose, le solite mura che crollano, i soliti macchinari che volano, i draghi che sputano fuoco, qua c'è l'enciclopedia della scienza, un orango, una zebra, una iena, che si muovono come si muoverebbero nella realtà, che ansimano, si azzannano, vomitano acqua salata.
C'è, però, poi, anche un attore protagonista colto nel fiore della sua giovinezza (Suraj Sharma) che si sorbisce interamente l'ora e mezzo centrale della storia, dopo un tremendo inizio un po' sempliciotto e molto scolastico e prima di una conclusione tremenda in cui tutto si racconta ancora, ma con una diversa cattiveria. Un attore protagonista che avrebbe avuto occasione di sfondare e invece non ce la fa, eppure dietro alla macchina da presa c'è Ang Lee, Ang “La Tigre E Il Dragone” Lee, Ang “Brokeback Mountain” Lee, Ang “due Oscar alla regia e due Leoni d'Oro” Lee, che dopo il successo coreano e quello americano che ha consacrato Heath Ledger e Michelle Williams (Jake era già consacrato) è tornato in terra natìa con Lussuria e poi ancora in America con Motel Woodstock e dati gli insuccessi (eppure era a Venezia col primo e a Cannes col secondo) s'è dato al 3D, alla follia visiva, alla finzione posticcia. E ha fatto centro: il “nuovo Avatar”, come è stato definito, è l'anti-Avatar in realtà: due personaggi in tutto, nessuna nuova lingua, nessuna invenzione floreale, nessuna copia da vecchi film Disney; però tanto immaginario: l'arca di Noè, Mosè che apre le acque, Dio che crea tutto questo in cinque giorni, Adamo ed Eva, oppure Melville, Conrad, Swift e tutti quei romanzi di formazione adventure in cui si impara ad ammaestrare un animale o a riconoscere un'isola carnivora.
È un film dall'impatto un po' particolare: asettico, per colpa della telecamera che pare sempre muoversi in una sola stanza (come in effetti è) nonostante siamo in pieno oceano, eppure la telecamera si muove!, si sommerge e si salva, ma la musica non sempre la aiuta e la scena iniziale nemmeno: tratto dal libro di Yann Martel, piccolo cult di qualche anno fa nel mondo e persino in Italia, viene affrontato, nella sceneggiatura di David Magee (visionario scrittore che ha esordito col botto, scrivendo Neverland e candidandosi all'Oscar) come film che svela la nascita del libro, con un co-protagonista senza nome che resta a pranzo (e poi a cena) a farsi raccontare la lunga vicenda prima, e la versione modificata poi. Per lasciarci col dubbio. E chiederci: noi, quale preferiamo?

London Film Critics' Circle - nominations.



«Scegliere i vincitori sarà un'impresa più ardua rispetto agli altri anni; mai come questa volta sono tutti meritevoli» annuncia la stampa inglese alla lettura delle nominations per i 33esimi Premi della Critica Cinematografica di Londra, e quanto hanno ragione. Un'altro fattore che il “British Group” ci tiene a sottolineare è la presenza di così tanti film stranieri. Certo, sono come sempre ormai tutti in lingua francese, ma sono effettivamente le perle di questi passati festival; su tutti, il mio Amour, che sbaraglia qualsiasi film inglese e ottiene 7 nominations, dal Film al Film straniero finanche all'Attrice non Protagonista, una gratuita Isabelle Huppert, candidata proprio per far fare il botto al film di Haneke.
7 nominations anche per l'americano The Master, inclusa la candidatura alle scene; 4 per Lincoln, quasi tutte per gli attor, 4 per Argo e 4 anche per il monumentale Vita Di Pi, di cui due alla tecnica; 3 per Operazione Zero Dark Thirty.
Dei numerosi film stranieri sparsi per tutte le categorie di cui prima, salta all'occhio sicuramente la Cotillard di Ruggine E Ossa, che si sta facendo sempre più prendere sul serio e rischia la seconda nomination all'Oscar, di nuovo per un film francese. C'è poi l'attore danese de Il Sospetto, il regista turco di C'era Una Volta In Anatolia, il trucco del francese Holy Motors.
C'è anche, poco ma c'è, Beasts Of The Southern Wild mentre manca, grande escluso dalle categorie più importanti, L'orlo Argenteo Delle Nuvole, insieme a Lo Hobbit per le categorie tecniche, tutti scavalcati  dal documentario inglese The Imposter insieme ai compatrioti Skyfall e Les Misérables.
Il Premio Dilys Powell per l'Eccellenza nei Film sarà consegnato a Helena Bonham Carter il 20 gennaio al May Fair Hotel, giorno e luogo della cerimonia di premiazione ufficiale.
Qui il sito dell'evento e di seguito, dopo l'interruzione, tutte le nominations.

Film dell'Anno
Amour
Argo
Beasts Of The Southern Wild
Vita Di Pi
The Master

Film Inglese dell'Anno
Berberian Sound Studio
The Imposter
Les Misérables
Sightseers
Skyfall


venerdì 21 dicembre 2012

Oscar 2013 - il film straniero.



È con le lacrime agli occhi che scrivo.
Neanche quest'anno l'Italia riesce ad arrivare alla cinquina del Miglior Film Straniero; c'era andata vicina, nel 2007, con La Sconosciuta di Tornatore (capolavoro indiscusso del regista), dopo che nel 2005 era riuscita ad ottenere addirittura una nomination, per un'ubriacatura della giuria, grazie a La Bestia Nel Cuore, che fu battuta da Tsotsi, dopo che nel 1998 Benigni fece arraffatutto con La Vita È Bella, portando alla statuetta anche Nicola Piovani. Quello fu il nostro ultimo Oscar, il decimo ufficiale dal '56 (anno in cui la categoria fu istituita; prima di allora venivano assegnati dei premi onorari che De Sica e Clément hanno ottenuto con Sciuscià, Ladri Di Biciclette e Le Mura Di Malapaga). Noi, che siamo stati i primi a vincere questo premio. Noi che siamo stati anche i secondi. Che abbiamo record di candidature. Che abbiamo avuto due attori vittoriosi per un film in lingua straniera. Che adesso siamo stati raggiungi, in questo record, da una rinata Francia, capace l'anno scorso di scavalcare la categoria “minore” e portare The Artist dritto dritto al Miglior Film. E quest'anno scendono di nuovo in campo: Quasi Amici, come previsto, è tra le nove pellicole appena annunciate tra cui l'Academy il 10 gennaio sceglierà i cinque candidati al Miglior Film Straniero 2013.
Gli fanno compagnia, con immenso diritto, i capolavori Amour e Oltre Le Colline, insieme a Sister della Meier, il canadese Rebelle (quarto film in lingua francese, quindi), il cileno No con Gael García Bernal e a sorpresa un trittico di nordici: l'islandese The Deep, il norvegese Kon-Tiki e il danese A Royal Affair, epopee storiche (su una zattera in pieno oceano, sui reali di Danimarca) che non hanno niente a che vedere col nostro incredibile Cesare.
Sono fuori anche À Perdre La Raison, Barbara, La Sposa Promessa, Después De Lucía e Pietà. E se neanche quest'anno, con un film così potente e originale ce l'abbiamo fatta, non vedo in cosa sperare ancora.

Amour di Michael Haneke (Austria)
Rebelle [War Witch] di Kim Nguyen (Canada)
No di Pablo Larraín (Cile)
A Royal Affair [En Kongelig Affære] di Nikolaj Arcel (Danimarca)
Quasi Amici di Olivier Nakache & Eric Toledano (Francia)
The Deep [Djúpio] di Baltsar Kormákur (Islanda)
Kon-Tiki di Joachim Rønnig & Espen Sandberg (Norvegia)
Oltre Le Colline di Cristian Mungiu (Romania)
Sister [L'enfant D'en Haut] di Ursula Meier (Svizzera)

Satellite Awards - vincitori.



Mai come quest'anno c'è stata tutta questa confusione. Dopo che gli americani hanno premiato e ripremiato Zero Dark Thirty della Bigelow, ecco che L'orlo Argenteo Delle Nuvole prende il sopravvento: candidato e nominato dappertutto, finora non era riuscito nella botta. Ai Satellite 2012 sì: vince il Miglior Film, la Migliore Regia, entrambi gli Attori e il Montaggio. Lascia alla concorrenza la Sceneggiatura Non Originale (primo premio per Vita Di Pi, appena uscito nelle nostre sale, che è stato definito dai giornali italiani «il nuovo Avatar») (mentre la Sceneggiatura Originale è di Mark Boal, compare della Bigelow, che dà l'unico premio al film su Bin Laden) e l'Attore Non Protagonista Robert De Niro che si piega davanti alla matta performance di Javier Bardem, annunciato da me come futuro e di-nuovo vincitore dell'Oscar per questa stessa categoria (ha vinto per Non È Un Paese Per Vecchi dopo la nomination per Prima Che Sia Notte e prima di Biutiful).
Per L'orlo è un buon auspicio, ma non dimentichiamo che l'anno scorso successe lo stesso a Drive, film cult tra un certo pubblico, che sbancò tra Film, Attori, Regista eccetera e poi ottenne l'unica nomination all'Oscar per il sonoro.
Ne esce abbastanza soddisfatto anche Les Misérables, che prende l'Attrice di Supporto, la Canzone (tolta quindi alla super-favorita Adele), il Sonoro e il Cast. Mentre a bocca asciutta restano The Sessions, Moonrise Kingdom, The Master. Vengono messi sullo stesso piano i film stranieri Quasi Amici e Pietà, il primo banalissimo prodotto del mercato francese e l'altro altissima introspezione criminale per uno strozzino coreano che ritrova la madre vendicativa dopo anni di silenzio, Leone d'Oro a Venezia 2012. Svanisce quindi la nostra – per ora unica – occasione di vedere trionfanti i fratelli Taviani. Mentre Le 5 Leggende scavalca il mio Ralph e il bel ParaNorman.
Tutti i vincitori e il resto dei candidati, soprattutto per le nominations televisive, sono qui, nella pagina del sito ufficiale della cerimonia. Dopo il salto, tutte le categorie cinematografiche e i premi aggiuntivi.

Miglior Film
Argo
Beasts Of The Southern Wild
Vita Di Pi
Lincoln
Les Misérables
Moonrise Kingdom
 L'orlo Argenteo Delle Nuvole 
Skyfall
The Sessions
Operazione Zero Dark Thirty

Miglior Film a Tecnica Mista o d'Animazione
Ribelle - The Brave (Disey Pixar)
Frankenweenie (Disney)
L'era Glaciale 4 - Continenti Alla Deriva (Blue Sky)
Madagascar 3 - Ricercati In Europa (DreamWorks)
Paranorman (Laika)
 Le 5 Leggende  (DreamWorks)
Ralph Spaccatutto (Disney)

Miglior Film Straniero
Amour di Michael Haneke (Austria/ Francia)
A Royal Affair di Nikolaj Arcel (Danimarca/ Svezia)
 Quasi Amici  di Olivier Nakache & Éric Toledano (Francia)
À Perdre La Raison [Our Children] di Joachim Lafosse (Belgio/ Francia)
Kon-Tiki di Joachim Rønning (Norvegia)
 Pietà  di Kim Ki-duk (Corea del Sud)
Oltre Le Colline di Cristian Mungiu (Romania)
Rebelle [War Witch] di Kim Nguyen (Canada)
Cesare Deve Morire di Paolo & Vittorio Taviani (Italia)

giovedì 20 dicembre 2012

insert coin.



Ralph Spaccatutto
Wreck-It Ralph, 2012, USA, 101 minuti
Regia: Rich Moore
Sceneggiatura originale: Phil Johnston & Jennifer Lee
Soggetto: Rich Moore, Phil Johnston e Jim Reardon
Voci originali: John C. Reilly, Sarah Silverman, Jack McBrayer,
Jane Lynch, Alan Tudyk, Rich Moore
Voci italiane: Massimo Rossi, Gaia Bolognesi, Daniele Giuliani,
Cristiana Lionello, Fabrizio Vidale, Paolo Virzì
Voto: 9.9/ 10
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C'era una volta una sala giochi che, come tutti i locali aperti al pubblico, a una certa ora, ogni giorno, chiude. E quando la sala giochi chiude e l'interruttore della ciabatta viene spento, ai personaggi dei videogiochi cosa succede?, dove vanno?
Lo “spaccatutto” Ralph, cattivo della consolle Felix L'aggiustatutto, alla fine della giornata lavorativa decide di prendere parte all'incontro dei Cattivi Anonimi, cerchio di antagonisti col bisogno di esprimere i propri sentimenti positivi a qualcuno di simile, circondati continuamente da figure dolci e buone, detestati dalla maggior parte dei compagni e dei bambini. La seduta è presieduta dal fantasma arancione di Pac-Man e prendono parte il drago di Super Mario, i lottatori di Tekken, qualche zombie. Alla fine delle confessioni si alzano in piedi, si prendono per mano, ed esprimono il loro orgoglio di cattiveria. Ma Ralph non riesce a mischiarsi al gruppo: lui vorrebbe, infatti, che Felix l'aggiustatutto e gli omini che abitano il condominio che ad ogni partita disintegra mattone dopo mattone lo prendessero più sul serio, evitassero di farlo vivere in discarica, lo invitassero alle feste. E qui si potrebbe dire: un film con protagonisti i cattivi che in realtà sono buoni non ha niente di originale, è stato già fatto. Ed è vero. Ma la genialità del loro ritornare ognuno alla propria postazione di gioco? La creatività della sala comune, dei fili dietro alle macchine, del trenino, della doppia interfaccia? E poi, la riesumazione di Pac-Man, di Sonic, dei giochi giapponesi con i livelli bonus di cui non si decifrava mai la modalità di avvio?
Ma a parte queste cose. I suoi colleghi di videogioco dicono a Ralph che solo quando riuscirà ad avere una medaglia sarà benaccetto nell'attico del palazzo, e in teoria si tratta di una cosa impossibile, perché i cattivi, non essendo i protagonisti controllati dal giocatore, non possono ottenere medaglie. E così, come fece un Turbo che tante volte viene nominato, Ralph abbandona il suo gioco per accaparrarsi medaglie negli altri, costringendo il proprietario della sala, ignaro di ciò che succede alle consolle quando lui se ne va, a mettere sullo schermo l'adesivo del “fuori servizio”.
La prima mezz'ora di film corre, galoppa, passa velocissima tra cambi di scene e presentazioni di personaggi; come sempre, tutto è studiatissimo dai creatori Disney che ricreano un mondo (in questo caso più d'uno) basato su gerarchie e organizzazioni ben precise e che non è mai difficile capire. Dopo il vintage Felix L'aggiustatutto si passa al virile Hero Duty con le musiche di Skrillex fino allo zuccheroso Sugar Rush con la co-protagonista femminile, doppio e specchio di Ralph perché mentre lui è un “diverso” (tema caro agli eredi di Walt) per il suo ruolo che non corrisponde con la sua personalità, lei è “diversa” per la personalità che vorrebbe non combaciasse con il suo ruolo. Gli obiettivi cambiano continuamente e così si susseguono le avventure, e la Company che un tempo lavorava solo in 2D riesce addirittura (impresa, avremmo detto, impossibile) a battere l'acquistata Pixar, che con la Ribelle di quest'anno ha davvero fatto cilecca, riempiendolo di non sviluppati richiami a Shakespeare e di un tempo (troppo) antico.
Qui il soggetto è geniale, la sceneggiatura è geniale, la resa digitale è sempre meglio e già lo stavamo capendo l'anno scorso con Rapunzel, che il tecnicismo della casa amica-concorrente sta diventando cosa accessibile ai più; i ruoli di John C. Reilly e Jane Lynch sono praticamente dipinti su di loro (il primo è l'indimenticabile uomo di cellophane di Chicago e l'altra è la tremenda Sue di Glee) e la decisione di dare dieci era palese già prima della metà; poi però il voto s'è abbassato di un punto per una sottigliezza finale che farà storcere il naso ai più critici. Ma presto ci si dimentica di questa trovata scema, perché ecco i soliti, minuziosi titoli di coda.
Il miglior film d'animazione dell'anno, senza dubbio. E, forse, non solo.

whisky sour.



La Parte Degli Angeli
The Angels' Share, 2012, UK, 101 minuti
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura originale: Paul Laverty
Cast: Paul Branningan, John Henshaw, Gary Maitland,
Jasmin Riggins, William Ruane, Siobhan Reilly
Voto: 6.9/ 10
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Una ladruncola ineducata, uno scemo del villaggio, un violento contro il prossimo, un violento contro l'autorità; tutti questi criminalotti del paese annuiscono, uno dopo l'altro, in fila, alla loro condanna, mentre il giudice batte col martello e la giuria se ne sta in silenzio e la gente accorsa dalle case tra le seggiole si lamenta della troppa bontà della punizione. Di tutti questi, soprattutto uno salta all'occhio: Bobby, tale Paul Branningan, tappetto con le orecchie a sventola e la faccia da scaricatore di porto, qualche cicatrice, la mandibola indurita, un manipolo di scagnozzi alle calcagna pronti a menarlo perché la giustizia non l'ha fatto abbastanza. Per lui è l'esordio al cinema, e di tutto il film è sicuramente la trovata più azzeccata di Loach – e per il physique-du-rôle ha anche vinto un BAFTA scozzese. Dall'altro corridoio del tribunale, per questo Bobby, c'è Leonie, la morosa devota con pancione sotto al seno, il cui padre è fortemente contrario a questa relazione perché lei è un fiore e lui un delinquente. Insomma, tutta 'sta gente punita è costretta a ore di servizio sociale in tutta pezzo unico arancione come la geniale serie (sempre inglese) Misfits ci ha insegnato: a capo del gruppo verrà messo John Henshaw, che era già ne Il Mio Amico Eric, buonissimo capogruppo sempre generoso verso il bisognoso, sempre pacato, sempre disponibile e disposto. Tutto, in effetti, sa di bontà: Bobby stesso è un teppista ma noi non vediamo nessuna cosa tremenda che fa (ci viene solo raccontata un'aggressione gratuita), anzi è sulla soglia del pentimento nel vedere il figlio che viene al mondo; i suoi colleghi di sventura sono degli ebeti imbecilli che a malapena conoscono la Gioconda e, se rubano, rubano qualche foglietto e due campioncini. Tutto è buonista e tutti questi protagonisti non odorano neanche lontanamente di galera. Il povero Bobby, tra l'altro, è perseguitato da questi bulli che non se ne lasciano scappare una per menarlo, e povera stella lui che ci può fare?, mica è colpa sua.
Harry allora decide di caricare la squadra su un pullmino e portarli in gita in una distilleria. Qui, una cicerona un po' frivola li inizierà ai piaceri del whisky e qui scopriranno che “la parte degli angeli” del titolo è quella percentuale di alcool che evapora e viene quindi persa prima e dopo l'invecchiamento del prodotto. Dopo una scena, i nostri saranno già abilissimi somelier, esperti nel riconoscere brezze marine e aromi fruttati di ogni liquore, parteciperanno a degustazioni, assisteranno a prime mondiali. Bobby finirà anche in una sorta di furto alcolico ai danni di uno scozzese vero...
Dopo l'epopea straziante de Il Vento Che Accarezza L'erba, Ken Loach torna a Cannes con un altro, ennesimo film in concorso che pare girato da mia sorella come progetto finale di un corso di regia e pare indirizzato a quei vecchietti che al mercoledì pomeriggio entrano al cinema col ridotto delle 15:30 per passare il tempo, insieme a due amiche. La sua mano praticamente non c'è, non c'è proprio il regista: la storiella leggera leggera procede in tutto questo zucchero e glucosio senza nemmeno accorgersene e senza che i personaggi vengano delineati nella loro delinquenza e senza delle matte svolte narrative. È molto scolastica anche la sceneggiatura, che come per Sweet 16Il Vento è stata scritta da Paul Laverty, che voglio dire non è proprio uno banalotto, dato che è l'autore di Anche La Pioggia.
La giuria di Nanni Moretti, però, decide di dargli il suo Premio, forse per accontentare questa quattordicesima presenza in terra francese; nessun altro riconoscimento inglese, nessun BAFTA: l'ultima candidatura è addirittura del 2002. Il solito problema dei registi che fanno troppi film nell'ultima fase della loro vita, troppo in fretta.

Oscar 2013 - il trucco.



Scremare tra tutti i film una cerchia di sette e annunciare che tra loro ci saranno i cinque nominati al Miglior Trucco per gli Oscar 2013, è praticamente già rivelare i candidati finali.
Ricordiamo che l'anno scorso questo premio è stato vinto da The Iron Lady, che certo aveva un buon trucco, ma era un trucco solo addosso a Meryl Streep e soprattutto era il più brutto film dell'anno scorso, per cui è inutile stare a fare pronostici; certo, per quantità di lavoro fatto (e fantasia nel farlo, con tutti quelle barbe a treccia e baffi a sbuffo) Lo Hobbit in questo contesto meriterebbe un occhio di riguardo, e sicuramente è il favorito. Gli fanno concorrenza i due biopic, quello sul più grande regista inglese di tutti i tempi, Hitchcock, interpretato da un irriconoscibile Anthony Hopkins, che nonostante il ruolo di un esistente con addosso chili di cipria non ha riscosso successo tra gli attori. Il film, diretto da Sacha Gervasi, sceneggiatore di The Terminal, racconta la storia d'amore da Alfred e Alma Reville, sua moglie e sceneggiatrice, durante le riprese di Psycho nel '59, ed è attualmente candidato al Golden Globe per la performance di Helen Mirren. Di fianco a lui, candidato a ben 7 Globes, Lincoln di Spielberg, altra costumata su altri personaggi storici tanto caro agli americani.
E con il fantasy Biancaneve E Il Cacciatore (in cui non ricordo queste peripezie prostetiche) e l'altra costumata Les Misérables, dove il trucco è tutto nella sporcizia tra i capelli dei poveracci e nel candore sulle gote dei ricchi, troviamo a sorpresa il thriller sci-fi Looper (da noi il 31 gennaio) e la commedia alienata Men In Black 3 o, come ama definirsi, MIB3. Il primo film della serie, l'Oscar al trucco lo vinse, ma era il 1997 ed eravamo tutti più ingenui, adesso ci si aspetta di più.
Insomma, i film scelti dall'Academy per ricevere la nomination al Trucco e alle Acconciature per gli 85esimi Oscar, nominations che saranno annunciate il 10 gennaio, sono:

Hitchcock
Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato
Les Misérables
Lincoln
Looper
Men In Black 3
Biancaneve E Il Cacciatore

mercoledì 19 dicembre 2012

la rimpatriata.



Lo Hobbit:
Un Viaggio Inaspettato
The Hobbit: An Unexpected Journey, 2012, USA, 169 minuti
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura non originale: Fran Walsh, Philippa Boyens,
Peter Jackson, Guillermo Del Toro
Basata sul romanzo Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien (Adelphi)
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage,
Ken Stott, Graham McTavish, Willia, Kircher, James Nesbit,
Stephen Hunter, Dean O'Gorman, Cate Blanchett, Elijah Wood
Voto: 7.8/ 10
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Per esempio, basta guardare il cast di questo film. Non il cast inteso con l'entità e la fama dei suoi attori, ma proprio il numero: centinaia e centinaia di persone, figuranti, comparse, e poi aquile giganti e ricci ammalati e conigli selvatici e ancora orchi, troll, draghi, montagne combattenti. E tutte queste persone, tutti questi animali, tutte queste figure hanno un'abitazione, hanno una serie di vestiti, hanno delle corazze o delle armature. Ed ecco ciò che fa tutto il film, e ciò che piace a Peter Jackson (e al suo co-sceneggiatore Guillermo Del Toro, messicano – avete visto Il Labirinto Del Fauno?): il kolossal in tutta la sua mastodonticità. Ed ecco il pregio del film: la cura nei costumi e soprattutto negli interni delle dimore, lo sporco nelle unghie, i biscotti fatti in casa disposti nel piatto, i tronchi afferrati dal bordo usati come scudo, le tasche nelle giacche e le giacche coi bottoni. I costumi, gli accessori, il trucco – che è sempre privo del sangue nonostante i numerosi combattimenti.
Tanta arte e tanta tecnica incontrano un esperto regista che dopo essersi arricchito con la trilogia più famosa della storia e dopo aver fatto compagnia a Ben Hur e Titanic per numero di Oscar vinti da un unico titolo, s'era dedicato ad un cambio di genere, prima col fanta-wwf King Kong e poi col fanta-horror Amabili Resti. Due insuccessi se paragonati con i precedenti (film giunti dopo un esordio silenzioso) per cui la squadra vincente s'è rimessa all'opera e ha ripreso in mano la stessa storia, dello stesso fantastico autore, e l'ha spostata di protagonista. Lo Hobbit, dicono i titoli di testa con voce fuori campo, è il racconto che Bilbo fa in età avanzata scrivendo al celeberrimo Frodo l'avventura di cui fu protagonista in gioventù, spiegando che un drago, razza amante dell'oro, distrusse un villaggio ai piedi della montagna per adagiarsi sotto le monete e che Gandalf, anche questa volta il miglior personaggio  psicologicamente delineato nella pellicola, si presentò al suo focolare insieme a tredici nani per convincerlo/ costringerlo a partire alla volta del bestione. Il “viaggio inaspettato”, titolo della prima delle tre nuove pellicole (la seconda, La Desolazione Di Smaug, è prevista per il 2013 mentre Andata E Ritorno per il 2014), è quindi questo arruolamento che Mulan fa abbandonando i centrini e le mele di casa sua per inforcare una spada che non sa come usare, “diverso” in mezzo ai guerrieri valorosi, in mezzo ai maschioni. Perché di Mulan si tratta, e di tutte le fiabe – e la locandina, non vi sembra quella che fu di Toy Story? La struttura narrativa, punto di massima originalità di questo film molto poco originale, si puntella di siparietti comici da Bugs Bunny & Co., a cominciare dalla scena dei troll che stanno preparando la cena sputacchiandoci dentro, starnutendo, prendendo dalla tasca un fazzoletto a cui un nano è silenziosamente attaccato che poi si riempirà di muco per l'ilarità degli under17 presenti in sala. Alla scenetta favolettistica segue l'immancabile e lunghissima scena di combattimento in cui l'arte di Peter Jackson è ben chiara (la telecamera che non sa cosa inquadrare, che si perde tra la polvere, che rotola, traballa, barcolla, si eleva, inquadra dall'alto, poi dal mezzo, poi da sotto), e a questa seguiranno tutta un'altra serie di scene sempre uguali: sviluppo della trama, incontro con una specie, scena comica, combattimento. La variabile è: nella tana degli orchi, tutta impalcature di legno e fuochi posticci, l'impianto è quello del videogioco, che di fronte inquadra queste Lara Croft che saltano da un ciglio all'altro e affilano con spade straniere il nemico. Bilbo, intanto, è impegnato altrove: si racconta della nascita dell'ira di Gollum. Perché, insieme a Elijah Wood prima e Cate Blanchett poi, questo film pare sia una mera rimpatriata di compagni di classe che si vogliono rivedere dopo quasi diec'anni e mettono in piedi una produzione gigantesca totalmente a caso. Sappiamo che non è così, ma poco ci manca: il Signore Degli Anelli si è abbassato all'americanizzazione della sceneggiatura per cui tutto è prevedibile e tutto è previsto e tutto è banale, i morti buoni risorgono e quelli cattivi non vengono veramente ammazzati per far danni poi; i saggi tirano fuori aforismi tremendi («si è saggi quando la spada si evita di usarla») e i diversi riescono a dimostrarsi armi preziose salvando vite.
Poi un drago apre un occhio e pensiamo: ecco che l'anno prossimo gli devo dare altri sei euro.

Luis-Delluc - vincitori.



Amour e Ruggine E Ossa stanno conquistando nominations e apprezzamenti in tutto il mondo; il primo, vanta anche un magistrale regista e due immense interpretazioni; il secondo, il cui regista è quello de Il Profeta, vanta un successo passato e una stella francese ora internazionale, Marion Cotillard. Concorrono insieme per il premio più prestigioso del cinema francese, il Louis Delluc, e concorrono insieme ad un reduce di Cannes, Holy Motors, tanto bizzarro quanto discusso ma anche accettato, e insieme a un reduce di Venezia, Après Mai, che lì vinse l'Osella alla Sceneggiatura tutta basata su ricordi sessantottini e degli anni a seguire (qui recensito). Ma tra tutti questi, e tra altri, ne esce vincitore Gli Addii Alla Regina Maria Antonietta di Benoît Jacquot, regista parigino i cui film, una quarantina tra pellicole per la televisione e documentari, non sono praticamente mai arrivati in Italia. Les Adieux À La Reine, in inglese Farewell, My Queen, racconta – di nuovo – la storia di Maria “dategli le brioches” Antonietta inquadrandola nel primo giorno della Rivoluzione Francese (1789) quando tutta la corte abbandona la vita di tutti i giorni per mettersi al riparo, e si focalizza sul rapporto di devozione tra Sidonie Laborde (Léa Seydoux, la sorella maggiore nascosta tra strati di cappotti in Sister) e la sovrana (interpretata da una magrissima Diane Kruger).
In concorso all'ultimo Festival di Berlino insieme al nostro Cesare, Les Adieux era anche in lizza per il Satellite ai migliori costumi, dove non ha vinto, ed è stato preso in considerazione da pochissime altre cerimonie, incredibilmente anche da questa.
La vincitrice dell'Opera Prima, invece, Cyril Mennegun, non è proprio una matricola: ha diretto cinque documentari e un corto ed è attiva dalla fine degli anni '90. Con Louise Wimmer approda al cinema (il film è uscito a gennaio in Francia) con il primo lungometraggio di finzione, storia drammatica di una cinquantenne che si ritrova senza soldi e senza casa, considerato nel 2011 la «scoperta del Festival di Venezia».

Miglior Film
38 Témoins di Lucas Belvaux
Amour di Michael Haneke
Après Mai di Olivier Assayas
Camille Redouble (Camille Rewinds) di Noémie Lvovsky
Un Sapore Di Ruggine E Ossa (De Rouille Et D'os) di Jacques Audiard
Holy Motors di Leo Carax
La Désintégration di Philippe Faucon
 Les Adieux À La Reine  (Farewell, My Queen) di Benoît Jacquot

Miglior Opera Prima
Louise Wimmer di Cyril Mennegun

venerdì 14 dicembre 2012

Golden Globes 2013 - nominations.



La fama dei Golden Globes è inversamente proporzionale alla sua dignità: col passare degli anni è diventata la cerimonia del popolo, ma del popolo più vasto, al punto che detiene il primato per la migliore serata condotta l'anno scorso (da Ricky Gervais) e il numero più alto di premi ridicoli assegnati - per non parlare di quelli non dati.
Chris Colfer miglior attore non protagonista per la serie tv musical Glee; Julie Bowen assente per tre anni di fila (e anche quest'anno) dopo aver vinto due Emmy con Modern Family a discapito di Sofía Vergara (da tre anni presente); Eva Longoria candidata come miglior attrice insieme alle altre tre colleghe di Desperate Housewives nell'anno in cui la serie era all'apice del successo, fortuna che non le ripiomberà mai più nella vita; Johnny Depp doppiamente candidato come miglior attore per le più grandi porcherie che la storia abbia mai prodotto: Alice In Wonderland e The Tourist, e quest'ultimo film, si dice a causa delle pressioni fatte in sala il giorno prima, venne nominato alla migliore pellicola comedy. Insomma, lontano dai fasti degli anni '90, quando La Sirenetta riusciva a scavalcare i film con le “persone vere” e prendere il Globo alla migliore pellicola musical, adesso i premi dati dalla Foreign Press Association accontentano i fan di Avatar, di The Social Network, e abbassano il capo di fronte a Kathryn Bigelow candidandola quest'anno dappertutto dopo averla ignorata due anni fa.
E ignorano, quest'anno, quest'anno che festeggiano il 70esimo, la colonna sonora di Beasts Of The Southern Wild e la maestria di Paul Thomas Anderson che vede il suo The Master candidato solo per gli attori. Ignorano l'Italia, senza Taviani per il Miglior Film Straniero (caso strano dato che ebbero il coraggio di nominare Baarìa con Gli Abbracci Spezzati nel 2009), ignorano la Romania di Cristian Mungiu, ignorano soprattutto Javier Bardem, che secondo i miei pronostici farà doppietta di Academy Awards per il suo ruolo in Skyfall. Ignorano, ahinoi, la regia di Michael Haneke e le interpretazioni dei suoi due magistrali, immensi, incredibili protagonisti.
Però candidato Il Pescatore Di Sogni, Taylor Swift e Adele e Jon Bon Jovi per la canzone originale, Meryl Streep per la cinquantesima volta, Richard Gere che ormai non ci ricordiamo più che faccia abbia e Quasi Amici al Film Straniero.
La cerimonia, che si terrà il prossimo 13 gennaio, sarà condotta dalla vincitrice (per il geniale 30 Rock) Tina Fey e dalla sua ex collega nel Saturday Night Live Amy Poehler (candidata per Parks & Recreation), insieme nella foto. Andrà in onda durante la nostra notte del 14 sulla NBC come ogni anno.
Le nominations per le categorie cinematografiche, di seguito e dopo l'interruzione, mentre per tutte le altre candidature televisive rimando al sito ufficiale.

Miglior Regia
Ben Affleck per Argo
Kathryn Bigelow per Operazione Zero Dark Thirty
Ang Lee per Vita Di Pi
Steven Spielberg per Lincoln
Quentin Tarantino per Django Unchained

Miglior Sceneggiatura
Mark Boal per Operazione Zero Dark Thirty
Tony Kushner per Lincoln
David O. Russell per L'orlo Argenteo Delle Nuvole
Quentin Tarantino per Django Unchained
Chris Terrio per Argo

giovedì 13 dicembre 2012

Screen Actors Guild - nominations.



Quattro nominations in tutto per Maggie Smith: due per Marigold Hotel e due per Downtown Abbey; due singole e due al cast. Poi, due nominations per Nicole Kidman: una per The Paperboy e la pipì su Zac Efron, l'altra per Hemingway & Gellhorn, la miniserie della HBO sullo scrittore e la sua compagna.
Due nominations anche per i tre attori de L'orlo Argenteo Delle Nuvole, per due de Les Misérables, per tre di Lincoln.
Per il resto, è quasi tutto uguale alle nominations precedenti, solo che questi sono gli Screen Actors Guild Awards di cui il canale italiano E! manda in diretta il tappeto rosso perché stracolmo di attori e attrici tutti vestiti bene: sono, questi, i premi del Sindacato degli interpreti che si elogiano e si premiano compliando schedine in cui votano i propri colleghi. Ne fa parte anche Emmanuelle Riva che però, tu guarda, non è candidata (per Amour). Non è candidato nessuno straniero se non Marion Cotillard che giorno dopo giorno si avvicina sempre di più alla seconda nomination all'Oscar (che ha vinto per La Vie En Rose; il suo fu il terzo Oscar dato a una persona straniera per un film straniero dopo Sophia Loren con La Ciociara, Roberto Benigni con La Vita È Bella e prima di Jean Dujardin per The Artist).
Non ci sono Amy Adams, Quvenzhané Wallis, Leonardo DiCaprio e Christoph Waltz, gli attori di Moonrise Kingdom; ma ci sono un sacco di altri candidati per le serie, le miniserie e i film per la TV a cui rimando da questo link.
Dopo l'intervallo, tutti gli attori nominati per i 19esimi SAG Awards, che saranno assegnati domenica 27 gennaio a Los Angeles:

Miglior Cast in un Film
Argo
Ben Affleck, Alan Arkin, Kerry Biche, Kyle Chandler,
Rory Cochrane, Brian Cranston, Christopher Denham,
Tate Donova, Clea Duvall, Victor Garber, John Goodman,
Scoot McNairy, Chris Messina

Marigold Hotel
Judi Dench, Celia Imrie, Bill Nighy, Dev Patel, Ronald Pickup,
Maggie Smith, Tom Wilkinson, Penelope Wintoln

Les Misérables
Isabelle Allen, Samantha Barks, Sacha Baron Cohen,
Helena Bonham Carter, Russel Crowe, Anne Hathaway,
Daniel Huttlestone, Hugh Jackman, Eddie Redmayne,
Amanda Seyfried, Aaron Tveit, Colm Wilkinson

Lincoln
Daniel Day-Lewis, Sally Field, Joseph Gordon Levitt,
Hal Hollbrook, Tommy Lee Jones, James Spader, David Strathairn

L'orlo Argenteo Delle Nuvole
Bradley Cooper, Robert De Niro, Anupam Kher,
Jennifer Lawrence, Chris Tucker, Jaki Weaver

Critics' Choice - nominations.



La Broadcast Film Critics Association è l'organizzazione più vasta tra gli Stati Uniti e il Canada, che raccoglie più di 270 critici della televisione, della radio, del Web e del cinema. Ogni anno, nella branchia “Movie” celebra la migliore produzione della stagione con questi premi, e negli ultimi cinque anni il Miglior Film qui è stato anche il Miglior Film agli Oscar; in tutto, “hanno azzeccato” dieci volte su diciassette.
Perché questa è solo la 18esima edizione del premio, che si terrà il 10 gennaio in una cerimonia di due ore trasmessa sul CW Television Network.
Esiste, dentro a queste copiose nominations, un'altra lista di candidati, anzi più liste, divise in film d'azione, commedie, sci-fi/ horror, con rispettivi migliori attori eccetera; per questo motivo, posterò solo le categorie principali rimandando a questo sito, quello ufficiale della cerimonia, per l'elenco completo. Rimando anche alla possibilità di votare, per la prima volta, il Favorite Film Franchise, il Miglior Film “Da Cassetta”, senza bisogno di registrarsi né niente, senza limitarsi ai film di quest'anno, cliccando qui.
E ora le solite considerazioni sui candidati: Lincoln di Spielberg sbanca tutto e ottiene 13 nominations (film, attore, attrice non protagonista, attore non protagonista, cast, regia, sceneggiatura non originale, fotografia, scenografia, montaggio, costumi, trucco e colonna sonora) ma non lasciamoci impressionare: un po' è un dovere verso un regista che lentamente sta decadendo (per lavorare solo come produttore) un po' è il destino di tutti i filmoni americani in costume; infatti subito dopo c'è Les Misérables, con 11 candidature: film, attore, attrice non protagonista, cast, regia (per la prima volta), fotografia, scenografia, montaggio, costumi, trucco, canzone originale (la solita Suddenly). La cosa curiosa è che al terzo posto tra i più nominati c'è una commedia, L'orlo Argenteo Delle Nuvole di David O. Russell (10 nominations) che qua era già andato bene con gli attori di The Fighter. Seguono: Vita Di Pi (9) e poi Argo, The Master e Skyfall (7).
Doppietta per la Francia che con Amour e Ruggine E Ossa occupa due posti sia nel Film Straniero che nell'Attrice Protagonista - una Marion Cotillard quest'anno totalmente ignorata eppure letteralmente gambizzata da questa interpretazione; ma nel Film Straniero c'è un terzo francese, Quasi Amici, che lascia poche speranze al danese A Royal Affair.
Categoria interessante perché poco nota è quella dell'Attore Emergente: Quvenzhané Wallis è super-favorita essendo anche tra le cinque migliori attrici, ma sicuramente Elle Fanning la batte in notorietà e Tom Holland in bravura.
La prima parte di nominations, dopo l'interruzione:

Miglior Film
Argo
Beasts Of The Southern Wild
Django Unchained
Vita Di Pi
Lincoln
The Master
Les Misérables
Moonrise Kingdom
L'orlo Argenteo Delle Nuvole
Operazione Zero Dark Thirty

AFI Awards 2012.



Niente di nuovo sul fronte americano; anche la lista dei Migliori Film del 2012 secondo l'AFI, l'American Film Institute (qui il sito ufficiale), organizzazione indipendente no-profit nata nel 1965 che elogia il buon cinema ma anche la buona televisione, si affianca a tutte quelle che abbiamo già visto se non per qualche virile incursione: Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno, finora considerato solo per i suoi aspetti tecnici o artistici (effetti, colonna sonora) viene elevato ad essere uno dei dieci migliori film dell'anno insieme a Django Unchained, opera prossima di Quentin Tarantino che ritorna sui passi di Bastardi Senza Gloria ma sprofondando nel Sud dell'America per ricalcare i suoi tanto amati B-movies mezzo western mezzo splatter con Leonardo DiCaprio, Jamie Foxx, il Franco Nero che fu il “vero” Django nel '66 e, di nuovo, Christoph Walz - da noi il 17 gennaio e in America il giorno di Natale.
È uno dei dieci migliori film anche Argo, spesso ignorato in questa grassa categoria, mentre L'orlo Argenteo Delle Nuvole, Zero Dark Thirty, Lincoln diventano quasi delle certezze per i prossimi Oscar.
Il Premio alla Carriera 2013 sarà dato all'ormai quasi novantenne Mel Brooks, sceneggiatore e attore e compositore per il cinema, il teatro, la televisione; uno dei pochi personaggi ad avere in casa un Oscar, tre Emmy, tre Grammy e tre Tony.

Argo
Beasts Of The Southern Wild
Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno
Django Unchained
Les Misérables
Vita Di Pi
Lincoln
Moonrise Kingdom
L'orlo Argenteo Delle Nuvole
Operazione Zero Dark Thirty

mercoledì 12 dicembre 2012

il film danese.



A Royal Affair
En Kongeling Affære, 2012, Danimarca, 137 minuti
Regia: Nikolaj Arcel
Sceneggiatura non originale: Rasmus Heisterberg & Nikolaj Arcel
Basata sul romanzo Prinsesse Af Blodet di Bodil Steensen-Leth
Cast: Alicia Vikander, Mads Mikkelsen, Mikkel Boe Følsgaard,
Trine Dyrholm, David Dencik, Thomas W. Gabrielsson,
Cyron Melville, Bent Mejding, Harriet Walter, Laura Bro
Voto: 7.6/ 10
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Clicca qui per vedere il film.
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Tutti a parlar bene di Uomini Che Odiano Le Donne nella prima versione cinematografica svedese, quella con Noomi Rapace pre-incontro con Ridley Scott. Ma chi ha il merito di aver trasposto meglio quel film rispetto all'americano? Lui: Nikolaj Arcel, sceneggiatore anche della miniserie in due puntate Millenium insieme al fedele amico Rasmus Heisterberg col quale quest'anno ha vinto a Berlino l'Orso d'Argento proprio per la sceneggiatura. Di questo En Kongeling Affære, “Un Intrigo Di Corte” sarebbe la traduzione più italiana da sperare, storia basata sul romanzo da noi inedito del danese Bodil Steensen-Leth basato a sua volta sulla vita del re Cristiano VII di Danimarca, re di Danimarca e di Norvegia, duca di Schleswig e Holstein, campato sessant'anni appena e morto per aneurisma cerebrale nel 1808.
Il film però non parte da lui usandolo come protagonista indiscusso; comincia con la lettera che la futura moglie e cugina, Carolina Matilde figlia di Federico di Hannover principe del Galles e della principessa Augusta di Sassonia-Gotha-Altenburg, interpretata da un'educatissima Alicia Vikander, scriverà ai figli che non vede da anni, per chiedere loro chissà cosa, dato che nella scrittura si perde a raccontare ciò che successe in modo da farlo vedere anche a noi spettatori e ritorna ad essere la voce fuori campo dopo due ore piene che noi ci siamo scordati anche qual era stata la prima scena.
Scrive ai figli chiamandoli per nome e chiedendo loro perdono cominciando a raccontare di sé: quindicenne, fu prelevata dalla sua amata Inghilterra per raggiungere la Danimarca e in tutta fretta sposare un parente mai visto, parente affetto da evidenti disturbi mentali su cui tutti avevano taciuto, che lei inviterà a entrare in camera da letto dove lui darà i primi segni di follia per poi iniziare a chiamarla «madre» dal momento che né si toccano né si parlano né si confidano: semplicemente lei lo ammonisce quando deve. Carolina, poveretta, è la Maria Antonietta del Nord-Europa: all'ingresso del sontuoso e ben ricostruito castello, dovrà abbandonare tutte le cose bannate, come fu per il cagnolino della sovrana francese, e allora lascerà sulle mensole di casa Rimbaud, Voltaire, la Filosofia contemporanea, la Poesia. Passerà le giornate a stringersi corsetti mentre il marito, in città, si farà cavalcare dalle donne delle case chiuse.
Per un fortuito caso del destino, il medico dei poveri, dottor Struensee, nome che più cacofonico non si può, sarà invitato a corte per visitare il regnante e questo, indispettito come i bambini davanti agli adulti non accondiscendenti, si chiuderà in un silenzio che solo le battute di Shakespeare sapranno sciogliere. Re e medico diventeranno, inspiegabilmente, un corpo e un'anima, con la differenza che il medico sa stare con i piedi per terra sognando la rivoluzione illuminista e il re saltella insieme al suo schiavetto negro. Struensee, interpretato da Mads Mikkelsen coi capelli lunghi, non è ben visto dai più perché tedesco e notoriamente “comunista”, diremmo oggi, e col suo potere sul re riesce a far istituire il vaccino per la plebe ed eliminare la pena di morte e addirittura ricevere una lettera firmata da Voltaire in persona.
Inutile dire che tra questo intelletualoide medico e l'infelice regina è subito colpo di fulmine, che prima resta platonicamente tale, poi si trasforma in vere e proprie corna, poi...
Il cinema non parlava del Re Cristiano dal 1935 col film inglese Il Dominatore di Victor Saville, coi pupilli di Hitchcock Emlyn Williams e Madeleine Carroll, anche quest'ultima elegante e magra e ben diversa dalla regina Carolina Matilde originale.
Tra tutte le interpretazioni di questo film, spicca quella del pazzo reale e sconosciuto Mikkel Boe Følsgaard che infatti s'è portato a casa un Orso d'Argento all'interpretazione alla faccia del ben più celebre Mikkelsen (che tanto ha la sua bella Palma d'Oro) e della Trine Dyrholm che adesso vedremo nel tremendo Love Is All You Need e che interpreta qui la Regina Madre.
Inviato dalla Danimarca in rappresentanza del Paese agli Oscar, spera come fu per The Artist l'anno scorso che tanto il nazionale Il Sospetto ben più interessante di questo faccia il suo corso senza paletti di regolamento. Ma al contrario di ciò che capitò alla Francia, non ce la faranno né con questo né con l'altro. Se non, come è già successo agli European Film Awards e ai Satellite, non venga nominato per le belle scene di Niels Sejer.

Grammy 2013 - visual media nominations.



I Grammy Awards, giunti pomposamente alla 55esima edizione, sono i premi musicali più importanti del mondo, con una succursale latina (i Latin Grammy, appunto) che ha premiato più volte la nostra (...) Laura Pausini, perché la corsa alla nominations - figuriamoci alla vittoria - del Grammy vero, per noi italiani è una cosa tanto ardua, ché solo Nel Blu Dipinto Di Blu riuscì a diventare la Canzone dell'Anno.
Il difficile raggiungimento del sogno americano, oggi, è ancora più arduo perché ai Grammy non si candida né vince chi è tanto bravo, ma soprattutto chi è che ha scalato le classifiche. Nelle varie (quasi cinquanta) categorie (pop, rock, electronic, jazz, blues, americana, reggae, rap, hip-hop, R&B, classica, traditional, gospel e poi dischi parlati, dischi strumentali, performance singole, di gruppo...) troviamo infatti i nomi del gossip hollywoodiano: Rihanna, Katy Perry, la finta-country Taylor Swift e poi i tormentoni dei Fun., di Carly Ray Jespen, di Gotye, tutta gente che ha toccato la #1 della Billboard, Adele inclusa, che quest'anno non ha pubblicato album ma ha cantato live, è nominata per una sua performance e non per la scrittura di Skyfall dal film Skyfall.
Superata questa parentesi musicale in un blog di cinema, apriamo quella musicale cinematografica: i Grammy premiano anche - ovviamente - la sinestesia in tutte le sue forme mediatiche: per la televisione, per il cinema, perfino per i videogiochi, e infatti il Journey candidato alla migliore Score Soundtrack, e cioè quel disco che contiene tutti i brani strumentali non cantati e originali che un compositore dirige a orchestra (tradizionalmente), è un videogioco per Play Station 3 della Sony in cui il protagonista cammina nel deserto per incontrare altri partecipanti e “cantarci” senza parole; il gioco di Jenova Chen ha ottenuto consensi di critica soprattutto per la musica di Austin Wintory (qui il suo sito ufficiale), che ha musicato molti videogiochi e molti sconosciuti film.
Insieme a lui, nella migliore musica originale, ci sono i soliti: il longevo John Williams, Howard Shore, Hans Zimmer, tutti già vincitori e pluri-candidati all'Oscar, insieme al francese Ludovic Bource che l'Oscar l'ha vinto quest'anno e agli elettronici Reznor & Ross che l'Oscar l'hanno vinto due anni fa per The Social Network.
La Compilation Soundtrack è invece il disco che raccoglie brani musicali cantati re-interpretati o già esistenti, per cui ci sono Bob Marley e i Muppets per i rispettivi film, gli “autoriali” Paradiso Amaro e Midnight In Paris e poi il film rock che avrebbe dovuto portare alla ribalta Tom Cruise e che invece...
Come al solito, i Grammy si discostano molto dalle altre premiazioni e se ne ha la conferma con le canzoni originali: a parte i residuati dell'anno passato de I Muppets (con Man Or Muppet, premio Oscar che sarebbe dovuto andare a Life's A Happy Song), ci sono i Mumford & Sons di Ribelle, una delle tante canzoni del telefilm musical sulla produzione di un musical su Marilyn Monroe, Smash, e ben due tracce dalla soundtrack degli Hunger Games, quella dei titoli di coda interpretata dagli Arcade Fire in primis.
Se Dio esistesse, vincerebbe senza dubbio quest'ultima.

Compilation Soundtrack
Paradiso Amaro di Artisti Vari
Marley di Bob Marley & The Wailers
Midnight In Paris di Artisti Vari
I Muppets di Artisti Vari
Rock Of Ages di Artisti Vari

Score Soundtrack
Le Avventure Di Tintin - Il Segreto Dell'unicorno di John Williams
The Artist di Ludovic Bource
Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno di Hans Zimmer
Uomini Che Odiano Le Donne di Trent Reznor & Atticus Ross
Hugo Cabret di Howard Shore
Journey di Austin Wintory [videogioco]

Canzone Originale
Abraham's Daughter da The Hunger Games, scritta e interpretata dagli Arcade Fire
Learn Me Right da Ribelle - The Brave, scritta dai Mumford & Sons, interpretata dai Mumford & Sons e Birdy
Let Me Be Your Star da Smash, scritta da Marc Shaiman & Scott Wittman, interpretata da Katherine McPhee & Megan Hilty
Man Or Muppet da I Muppet, scritta da Bret McKenzie, interpretata da Jason Segel & Walter
Safe & Sound da The Hunger Games, scritta da T Bone Burnett, Taylor Swift, John Paul White e Joy Williams, interpretata da Taylor Swift & The Civil Wars

martedì 11 dicembre 2012

Los Angeles Film Critics Association - vincitori.



Per la Los Angeles Film Critics Association i film dell'anno sono quelli ormai noti ai più, ma in diverso ordine: L'orlo Argenteo Delle Nuvole ha solo la Migliore Attrice e Operazione Zero Dark Thirty il Miglior Montaggio (ma la Bigelow era una possibile Miglior Regista). Si fanno largo, tra questi maggiori, le pellicole meno considerate come The Master, che accalappia la Scenografia, l'Attrice non Protagonista (una splendida Amy Adams già tre volte candidata all'Oscar), l'Attore Protagonista Joaquin Phoenix, la regia di Paul Thomas “Magnolia” Anderson e soprattutto sfiora il Miglior Film. Che va, udite udite, all'austro-francese Amour, insieme alla Migliore Attrice (un parimerito che non profuma di buono) e che quindi, essendo la ciliegina del dolce, non si candida nemmeno come Film Straniero, dove figura l'Holy Motors presentato a Cannes tra gli sbalordimenti generali. Il suo attore Denis Lavant, interpretazione surreale di cui forse avremo modo di parlare, per la prima volta viene candidato a qualcosa.
Una giustissima Migliore Colonna Sonora per Beasts Of The Southern Wild che si becca anche l'attore non protagonista (!!!) e il New Generation Award.
Il terzo premio più importante, la Sceneggiatura, va a ciò che credevo sbaragliasse la concorrenza, Argo. Ma evidentemente mi sbagliavo.
Tutti i vincitori dopo l'interruzione.

Miglior Film
Amour di Michael Haneke
Altro candidato: The Master di Paul Thomas Anderson

Miglior Regia
Paul Thomas Anderson per The Master
Altro candidato: Kathryn Bigelow per Operazione Zero Dark Thirty

lunedì 10 dicembre 2012

British Independent Film Awards - vincitori.



Non ricopierò l'elenco (perché, per chi non lo sapesse, li ricopio ogni volta parola per parola) di tutti i candidati e i rispettivi vincitori di questi 15esimi British Independent Film Awards, i - gergalmente - BIFA, perché tanto si tratta di film che in Italia non vedremo mai, nelle altre cerimonie di premiazione, fatta eccezione dei BAFTA e di qualche pellicola, neanche, i cui titoli non ci direbbero assolutamente niente.
Si tratta poi di premi che si consumano in meno di una settimana: le nominations vengono infatti date a ridosso della premiazione (che ogni anno da sei anni è presentata da James Nesbitt) e la premiazione è già avvenuta. Riporterò quindi il Miglior Film, il Miglior Film straniero (che non è Amour!) e rimando a questo sito ufficiale per avere l'elenco completo di tutti i candidati e i vincitori.
L'unico nome noto, tra queste piccolezze cinematografiche (nel senso che vengono fatte a bassissimo budget) è Marigold Hotel, da noi passato totalmente inosservato, di John “Shakespeare In Love” Madden, che regala candidature ai non bisognosi Tom Wilkinson, Judi Dench e Maggie Smith che però si vedono fregare dai ben più giovani Rory Kinnear, Olivia Colman (quella di Tyrannosaur) e Adrea Riseborough (quella di W.E.).
I film accaparra-tutto sono però Broken con 9 nominations, Sightseers e Berberian Sound Studio con 7 a testa, questi ultimi due già presentati a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs.
Per fare un esempio, i film che sono passati da questa cerimonia sono stati, l'anno passato, il tenerissimo Weekend, l'appena citato e potentissimo Tyrannosaur, il romantico Like Crazy con la sua protagonista Felicity Jones. Nessuno di loro si è spinto più in là, ma qualcosa è arrivata ai BAFTA.

Miglior Film Indipendente Inglese
Berberian Sound Studio di Peter Strickland
 Broken  di Rufus Norris
Sightseers di Ben Wheatley
Marigold Hotel di John Madden
The Imposter di Bart Layton

Miglior Film Indipendente Straniero
Amour di Michael Haneke (Austria/ Francia)
Beasts Of The Southern Wild di Benh Zeitlin (USA)
Un Sapore Di Ruggine E Ossa di Jacques Audiard (Francia)
Searching For Sugar Man di Malik Bendjelloul (Svezia/ UK)
 Il Sospetto  di Thomas Vinterberg (Danimarca)