venerdì 18 maggio 2012

l'inizio della crisi.





Margin Call
id., 2011, USA, 107 minuti
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura originale: J.C. Chandor
Cast: Kevin Spacey, Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachary Quinto, Penn Badgley,
Simon Baker, Mary McDonnell, Demi Moore, Stanley Tucci
Voto: 7.5/ 10
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New York, 2008. Dal tramonto all'alba. Siamo negli uffici di Wall Street e siamo in giacca e cravatta, che vendiamo entrare un esercito di femmine cattive, ci preoccupiamo, andiamo a sederci, e guardiamo lo sfacelo che comincia: queste, chiamando uno per uno i dipendenti, iniziano a licenziare l'80% del settore Rischi. Fino ai capi, tipo Stanley Tucci, che per una volta non è gay né idiota. Data l'entità del suo lavoro e della sua conoscenza nell'azienda, gli verranno bloccate da subito le password e gli accessi ai database e il cellulare. «E il progetto a cui sto lavorando?» chiede. «L'azienda se ne sta già occupando, ma grazie per l'interessamento» gli viene risposto. Ma il progetto a cui fa riferimento è un'altra cosa, e lo passa in chiavetta USB a Zachary Quinto che fa compagnia a tutta una serie di reduci da grassi telefilm con furore (lui da Heroes, Penn Badgley da Gossip Girl, Simon Baker da The Mentalist) a cui si aggiunge il meraviglioso Kevin Spacey (si dice che il resto del cast abbia accettato di partecipare perché c'era lui) e sir Jeremy Irons, nei panni uno del capo dell'altro.
L'ex ingegnere aerospaziale Quinto infila la penna nel computer mentre gli altri escono dall'ufficio e vanno a bere e ci trova dentro una serie di cose che avrebbe voluto non trovarci: chiama gli altri, piano piano lo raggiungono, un esercito di attori incredibili riempirà lo stabile per trovare il modo di non finire sul lastrico come i dati raccolti da Tucci prevedono.
La crisi di Wall Street vide la luce quella notte e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.
Dopo film come Inside Job e Too Big To Fail sentivamo il bisogno di un'altra pellicola così profondamente economica? Forse no, ma questa è diversa: punta a mostrare come gli economisti chiusi là dentro si dividano in quelli che non ne capiscono niente («parlami come se fossi un bambino, non sono arrivato qui certo per il mio cervello») che di solito comandano e quelli che invece ne capiscono e temono il licenziamento. Parlano di soldi come le persone normali, si chiedono continuamente quanto guadagni uno e quanto un altro, con che buonuscita torneranno a casa, hanno case ed ex mogli e cani ammalati. Demi Moore, la più umana di tutti, con la faccia ormai quadrata e la bocca di Julia Roberts, si alza da una poltrona e si siede su un'altra chiedendosi come farà a campare.
Il tutto, ci viene mostrato in scene abbastanza lunghe in cui per la maggiore sono due persone che dialogano serratamente (di cose che capiamo a metà) spesso al chiuso. Pare, per questo, di essere al teatro, o di essere davanti a una di quelle cose che sul teatro si basano. Invece no, la sceneggiatura di J.C. Chandor è originale e per questa lui è stato candidato all'Oscar (ma ha vinto Woody Allen, anche se a meritarlo era di più Asghar Farhadi). Fortunato, con un'opera prima. Fortunato anche perché il suo primo film era in concorso a Berlino 2011, a Toronto, ha vinto molti premi per l'esordio ed era candidato al Gotham per il cast.
Tema caldissimo e difficile da toccare, ostico, di cui non conosciamo il linguaggio né le basi (il regista invece sì, perché suo padre ha lavorato per quarant'anni per Merrill Lynch), costumi fissi e poche scene, ma, come tutti i film che fanno affidamento a buoni dialoghi continuati (la musica fa incursione molto poco e ci inquieta), fa passare molto in fretta le quasi due ore.

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