domenica 23 settembre 2012

Venezia 69: Ulrich Seidl.



Paradise: Faith
Paradies: Glaube, 2012, Austria, 112 minuti
Regia: Ulrich Seidl
Sceneggiatura originale: Ulrich Seidl
Cast: Maria Höffstatter, Nabil Saleh
Voto: 7.8/ 10
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Venezia 69
Premio Speciale della Giuria
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Non fa in tempo a tornarsene in Austria da Cannes, dove era andato a presentare Paradise: Love, primo film di un'annunciata trilogia, che Ulrich Seidl deve subito ripartire per un altro festival, quello di Venezia, dove della suddetta trilogia è stato presentato il secondo capitolo (il terzo, in cantiere, annunciato per il 2013, andrà a Berlino? Sarebbe record). E se in Francia aveva solo seminato lo scompiglio venendo definito il più “scandaloso” film dentro e fuori alla gara (ma attenzione: c'era The Paperboy), in Italia non solo fa lo stesso, scandalizzando tutti, ma si aggiudica anche uno dei due secondi premi più importanti, quello della Giuria. Sarà anche stata una mossa per alleviargli il dolore d'oltralpe, ma è un premio che, a guardare i due film in sé, è tutto meritato. Primo, perché scavano a fondo di un animo umano, uno e uno solo, mostrando come e perché è giunto ad essere tale; secondo, perché con coerenza stilistica riesce a farsi riconoscere senza mai ripetersi. Mi spiego: le immagini di Paradise: Love, colorate, tagliate dalla luce a metà, sempre fisse e fissate in inquadrature lunghissime, erano rimaste impresse tanto quanto i loro contenuti, i balletti dei kenioti prostituti venditori di compagnia alle “suga mamas” formose e benestanti; in questo Paradise: Faith, dove non si esplora più il bisogno dell'amore ma la certezza di averlo, e la rassegnazione, la devozione totale all'ideale, quasi ossessione, la regia è sempre la stessa, simmetrica, fissa, a volte a spalla dietro a chi cammina, ma la fotografia riprende altri e più incredibili colori, più coerenti col sapore del tema, fatti di ombre e di luci divine.
Anna Maria lavora in ospedale come tecnico radiologo e riempie le sue giornate di contatto umano, contatto anche fisico, per aiutare il prossimo e intervenire nel suo male. Saluta il suo “capo” prima di andare in ferie, e gli annuncia che «resterà a casa». E in effetti a casa resta, a lavare scale e spazzare soprammobili e cantare alla pianola “Gesù è il Signor che passa in mezzo a noi”. Però poi esce, inforca un fagotto ed esce, prende il treno, arriva nelle periferie di Vienna, tra le case popolari e le baraccopoli degli immigrati, coloro che sono più deboli, e li aiuta, li mette in contatto con la Madonna e li rassicura, prega, insegna la devozione, la fede(ltà). Sono però ambienti particolari, e quando non sono bizzarri sono anche pericolosi, e noi che guardiamo ora ridiamo ora stiamo sull'attenti. Ogni volta Anna Maria però ne esce e torna a casa, e colma di tanto peccato si infligge punizioni corporali davanti al crocifisso per chiedere perdono per gli errori altrui. Scorrono così le sue giornate, mentre sua sorella Teresa è in Kenia a illudersi di essere desiderata, fino a quando non torna a casa, disabile e non più autosufficiente, l'ex marito musulmano. Lui rappresenta un'altra cultura, un'altra religione, ma è detestabile tanto quanto la moglie, anche se in modo opposto.
Ancora una volta, Seidl dirige egregiamente un'attrice formidabile, che per lui arriva a fare di tutto - come pure era stato per Margarete Tiesel. Maria Höffstatter non solo è azzeccatissima nel ruolo, volto e veste da catechista e capello démodé, ma arriva a farci dimenticare che siamo davanti a un'attrice e un personaggio perché, merito anche delle lunghe scene di dialoghi e liti domestiche, sembra di assistere di nuovo a un documentario. Attendiamo trepidanti l'epilogo Paradise: Hope in cui la nipote si abbandona al desiderio sessuale.

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