martedì 15 gennaio 2013

il volo (e la caduta).



Flight
id., 2012, USA, 138 minuti
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura originale: John Gatins
Cast: Denzel Washington, Nadine Velazquez, Tamara Tunie,
Bruce Greenwood, John Goodman, Melissa Leo
Voto: 7.2/ 10
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Candidato a 2 Premi Oscar:
attore, sceneggiatura originale
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«Corri Forrest!» è una di quelle frasi che si sentono sempre urlare nel momento in cui qualcuno, in qualsiasi momento, dovunque, comincia o continua a scappare. La parabola della scatola dei cioccolatini, le lacrime delle maestre che fanno vedere il film agli studenti delle elementari e medie.
Esistono, dunque, registi che fanno questo genere di film e altri registi. Questo, che si chiama Robert Zemeckis, aveva cominciato la sua carriera dalla cima di una montagna (i film glieli produceva Steven Spielberg e glieli scriveva Bob Gale, quello che s'è inventato i personaggi di Ritorno Al Futuro) arrivando a diversi generi di muscugli (fiction e animazione: Chi Ha Incastrato Roger Rabbit?; mélo e nonsense demenziale: La Morte Ti Fa Bella; fantascienza e comedy: Ritorno Al Futuro) per pellicole che l'avevano pure portato spesso agli Oscar, fino al botto internazionale di Forrest Gump che di Oscar ne ha vinti sei (tra cui quello alla Regia) e poi Contact per concludere le sperimentazioni sci-fi commerciali, e poi la discesa. Tutti i film successivi sono stati fatti per quel pubblico che s'era emozionato con il giovane Tom Hanks, per cui l'adulto Tom Hanks viene preso e buttato su un'isola cercando di sopravvivere, un treno va diretto verso il Polo Nord per incontrare Babbo Natale, il Bewolf che si studia in Letteratura Inglese prende vita e muscoli e armatura. Un disastro a livello di critica, sebbene l'ultimo A Christmas Carol abbia incassato non poco (e abbia avuto una splendida locandina). Per cui, ci voleva un altro Forrest che corresse verso qualcosa, e quindi che cosa?, verso il risanamento, verso la vita placa che tutti conducono, la normalità, un Forrest nero e alcolizzato che sbattesse la testa contro il pericolo e si prendesse la responsabilità delle sue bugie e finalmente si emancipasse da ogni dipendenza. Ah!, che tema originale!, che situazione poco ortodossa, poco monotona! La storia di un drogato che quando le cose si mettono male, ma male sul serio, per sé e per la sua famiglia, smette di drogarsi. Che novità!
Ma in questo caso il drogato Denzel Washington è più un bevitore che uno sniffatore e ovviamente è uno tosto, uno arguto, uno che fa il pilota d'aerei e se il mezzo si perde il motore e l'ala va in fiamme sa bene come farlo atterrare nel primo campo disponibile senza (o quasi) ammazzare i passeggeri. È uno che sa, lo sa di essere un bravo pilota, uno dei migliori, «famoso per la puntualità», per cui se parte una causa legale alla scoperta dei motivi del disastro aereo, il suo alcolismo e le tre bottigliette di vodka scomparse e la coca trovata in corpo non hanno peso giudiziario.
In questo tragitto verso una redenzione che già sappiamo benissimo come andrà a finire (ed in effetti, il finale, ha un dettaglio anche carino), tragitto non per via aerea ma per terra – che, ammetto, ci sono momenti che ci tiene davvero in piedi, nel senso che siamo curiosi di capire come andrà a finire – tre sono i fattori interessanti: la scena della bufera, dell'aereo che si ribalta, della hostess che si sballotta, delle immagini sfocate post-schianto; il discorso che un malato di cancro fa tra le scale di un ospedale; questa dipendenza che si cerca di ammazzare ma non ci si mette davvero l'anima per una presunzione interna, unico aspetto davvero realistico del film. Ce ne aggiungo un quarto: Melissa Leo, che il suo bell'Oscar l'ha già vinto (Denzel Washington ne ha vinti due) che sebbene stia lì per cinque minuti cinque, ci regala un'immagine diversissima da quella che ce l'ha fatta conoscere (il bellissimo Frozen River). Il regista no, non ce lo metto: perché, il regista, c'è?

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