mercoledì 2 luglio 2014

tra dieci giorni.



Quel Che Sapeva Maisie
What Maisie Knew, 2012, USA, 99 minuti
Regia: Scott McGehee & David Siegel
Sceneggiatura non originale: Nancy Doyne & Carroll Cartwright
Basata sul romanzo di Henry James
Cast: Onata Aprile, Julianne Moore, Steve Coogan,
Alexander Skarsgård, Joanna Vanderham
Voto: 6.4/ 10
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“La trionfatrice del Festival di Cannes Julianne Moore” si legge sulla locandina italiana del film – ma il film è di due anni fa e Julianne Moore non aveva ancora trionfato a Cannes (per una modesta parte in un mediocre film, tra l'altro, e non era nemmeno presente alla premiazione); il paradosso è ancora più grande se si considera che è una modesta parte e un mediocre, discreto film anche questo: primo nome dei titoli di testa, il suo, solo per fama rispetto al resto del cast (Steve Coogan non aveva ancora sbancato il lunario con Philomena) dato che la si vede a malapena. Rockstar agée che non molla, che si circonda di artistoidi molto più giovani alla sera, a guardarsi live in tv e bere birra e fumare, ha una bambina che in questi bivaccamenti è messa a letto con la fatica del far addormentare – e restare addormentati – i bambini, mentre l'uomo con cui l'ha messa al mondo se n'è andato, artista pure lui, e s'è portato dietro la bambinaia, che a dispetto di tutte le bambinaie è giovane e bionda e british. Mamma e papà sono sempre al telefono con altri, e quando sono insieme si urlano addosso, e Maisie assiste silenziosa e impotente a tutto ed ecco che scopriamo quel che sapeva, ci chiediamo cosa effettivamente capisca, quando la bambinaia se la ritrova in casa del padre e poi nelle foto di matrimonio, quando a prenderla da scuola non ci va nessuno e poi compare un omone di due metri e dieci che non ha mai visto prima. Sono: lei, Joanna Vanderham e lui Alexander Skarsgård, lentamente traslocato dalla televisione di True Blood al cinema (Melancholia), i buoni buonissimi che si prodigano per questa bambina di sei anni di cui spesso tutti si dimenticano: con la regola del lanciarla nel campo avversario ogni dieci giorni, i genitori la mettono su un taxi e la spediscono via senza preoccuparsi che arrivi effettivamente alla meta – ma non sono genitori cattivi; nei momenti di presenza vomitano dolcezza e regali e parole di lode come spesso succede, più per se stessi che per l'infante. Riversano su di lei gli insulti all'ex consorte, spettatrice anche delle liti coi fidanzati attuali, e inconsapevole di ciò che accade finisce a dormire da colleghi di lavoro e ad aspettare nell'androne col postino. Impossibile, dato il tempismo dell'uscita italiana, non paragonare questo film a Incompresa di Asia Argento, storia vera e autobiografica di un'altra figlia di artisti. Lì le ambientazioni erano molto meno patinate per quanto patinate fossero le figure: attore e pianista che si odiano e spesso usano la progenie per odiarsi; Aria trovava la sua dimensione solo a contatto con gli oggetti e gli animali muti, incapace di trovare affetto nemmeno nei compagni di classe. Maisie invece il suo nucleo famigliare lo trova nei parenti non di sangue che si sono dimostrati genitori migliori per un sacco di tempo – e pare si voglia filosofeggiare sulla vera natura dell'essere padre e madre, quando la biologia non s'intromette. Julianne Moore domanda: «sai chi è la tua mamma, vero?» sconfitta dalla preferenza della bambina per la bambinaia. Lei annuisce, ma al cavallo a dondolo con cui giocherebbe da sola preferisce il giro in barca con due adulti che le vogliono bene. Intento lodevole per quanto storia tristemente nota. Onata Aprile, protagonista indiscussa, sorregge ogni scena della pellicola con una naturalezza e una gioia di muoversi incredibili, attrice maestosa dalle risate ai patimenti. I due autori che la dirigono, invece, noti per la performance di Tilda Swinton ne I Segreti Del Lago, si affidano a una sceneggiatura scritta a quattro mani da dei quasi-esordienti che trasportano le pagine di Henry James ai giorni nostri, senza mantenere assolutamente niente dello spirito ottocentesco. La superficialità della società si è, purtroppo, intrufolata nella resa stilistica rendendo la pellicola distaccata dagli avvenimenti: niente pietismi, ma nemmeno partecipazione.

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