giovedì 15 gennaio 2015

jazz caldo.



Whiplash
id., 2014, USA, 107 minuti
Regia: Damien Chazelle
Sceneggiatura originale: Damien Chazelle
Cast: Miles Teller, J.K. Simmons, Paul Reiser, Melissa Benoist,
Chris Mulkey, Susanne Spoke, Charlie Ian, Jayson Blair, C.J. Vana
Voto: 8.9/ 10
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Nell'isolamento di una sala prove all'interno della più esclusiva e prestigiosa scuola di musica di New York – e, quindi, più esclusiva e prestigiosa del mondo – Andrew vede piombare nella stanza il dispotico Terence Fletcher, che gli domanda: «sai chi sono io?» (e per gran parte del film non lo sapremo noi), «sai che sto cercando nuovi musicisti?». Basteranno una manciata di secondi, meno di dieci, a far tornare Fletcher da dov'era venuto, e ancora meno tempo gli basterà per esaminare tutti i componenti delle varie bande e orchestre dell'istituto. Al secondo tentativo, la scelta ricadrà su Andrew: ma non sarà impresa facile. Peggio di un addestramento militare la sfida a piacere al proprio insegnante si mischierà a una volontà di perfezione quasi letale e alla perdita della razionalità, fino a suonare forzatamente in condizioni quasi precarie, fino a vendette servite estremamente fredde. Andrew suona la batteria, e suona la batteria per far del jazz – un genere e uno strumento ignorati dai più; eppure Whiplash pare parli un linguaggio universali, parli di più e a più gente, sottostando ai dettami del thriller e ai taglienti effetti sonori dell'horror, con un protagonista da teen movie e un antagonista da nostalgici del conservatorio. Incredibile come tutti gli ingredienti stiano al loro posto, a partire dall'immenso J.K. Simmons davanti al quale ci si chiede più volte quanta abilità musicale avesse prima dell'inizio delle riprese (estrema la naturalezza con cui muove le mani davanti agli strumenti, con cui vomita una serie di insulti omofobi, denigratori, politicamente scorrettissimi ai suoi studenti); azzeccato anche Miles Teller, il simpatico-più-che-belloccio amico di Zac Efron in Quel Momento Imbarazzante, il demolitore di abitazioni festaiole in Project X, che ritorna al film d'autore dopo esserci passato anni fa con Rabbit Hole – anche davanti a lui, alla velocità con cui muove le bacchette sul kit, alla posizione delle braccia e delle gambe, ci si domanda se sia effettivamente un musicista; ma tutto questo non deve sorprendere se si analizza la maniacalità con lui l'impatto musicale è stato studiato e messo in scena, dai suoni di tutti gli strumenti alla scaletta dei brani conosciuti solo a una ristretta cerchia. Il miglior film musicale dell'anno senza dubbio, che se la deve vedere con l'altro diversissimo film musicale dell'anno, Frank: e se Frank racconta di un'ispirazione che non viene, di un'arte che non c'è, un talento che si forza, Whiplash dimostra che è la pratica che ottiene la tecnica che ottiene molto, se non tutto. I musicisti di Frank si chiudono in una baita, isolati dal mondo, a improvvisare musica sperimentale per un disco di cui non hanno pianificato neanche una traccia; quelli di Whiplash si dimenticano anche che il mondo fuori esiste e rimangono, col direttore d'orchestra, a provare fino alle due di notte se necessario, sotto i colpi di frusta del titolo e del brano principale, a provare anche un solo secondo del pezzo. Andrew è l'emblema di ciò, l'estremo assoluto: si vanta di non avere amici, come i grandi nomi della musica (i grandi veri che sono ben lontani dai grandi celebrati in Step Up, in Glee...), rinuncia alla ragazza con cui sta uscendo, suona la batteria fino a dover infilare le mani pregne di sangue nelle brocche di ghiaccio. Costruito quindi come un thriller, dalla tensione estrema e dall'attenzione che ci inchioda alla sedia fino all'ultima scena, riporta alla mente quel sotto-genere cinematografico-musicale, lontanissimo da Il Concerto e vicino a Grand Piano che l'anno scorso ha chiuso il Festival di Torino (in italiano: Il Ricatto). Non è un caso: Damien Chazelle era sceneggiatore di quella pellicola con la macchina da presa ceduta a Eugenio Mira – fu un piccolo massacro di critica, per cui adesso impugna il suo copione e se lo dirige da solo: e in che modo! Una scena, e dico “il tamponamento” per non anticipare troppo, dimostra la maturità registica che accidenti si perde in altre trovate e si comporta come di consueto nei primissimi piani ai piatti, alle bacchette, alle orecchie sudate, ai cerotti sui palmi. È un film claustrofobico di spazi chiusi e ristretti, di interni asettici e secchi, di dita, legnetti, labbra sui bocchini e spartiti, persone sole e isolate, rancori repressi – eppure tutto rimbomba.

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