martedì 27 gennaio 2015

vita delle farfalle.



Still Alice
id., 2014, USA/ Francia, 101 minuti
Regia: Richard Glatzer & Wash Westmoreland
Sceneggiatura non originale: Richard Glatzer & Wash Westmoreland
Basata sul romanzo Perdersi di Lisa Genova (Piemme)
Cast: Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart,
Kate Bosworth, Shane McRae, Hunter Parrish, Seth Gilliam
Voto: 6.7/ 10
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Candidato a un Premio Oscar:
attrice
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Alice compie cinquant'anni e la vita le brilla: una carriera eccellente coronata dall'insegnamento della Linguistica all'università, un marito altrettanto docente, un figlio neo-medico, una figlia laureata in Legge e vabbè, la pecora nera Kristen Stewart, che vorrebbe fare l'attrice e non studiare Arti Drammatiche, che vive fuori casa con coinquilini precari e si autofinanzia la compagnia teatrale, che sta scalando il cinema – quello vero – prima affianco a Juliette Binoche adesso affianco al prossimo Premio Oscar; compie cinquant'anni, dicevo, e si ritrova a dover cercare la ricetta del pudding di pane su internet, dall'iPhone, perché non se la ricorda; di correre per il campus e ad un tratto smarrirsi, perdersi, come dice il titolo della storia originale. Di formazione scientifica e col coniuge altrettanto preparato, vede un neurochirurgo che le diagnostica una forma rara, ereditaria e precoce di Alzheimer. Nota al testo numero uno: come si può buttare alle ortiche una vita così splendida, una condizione così positiva, una famiglia abbastanza serena, una carriera ancora ascendente? Come una punizione Alice si sente anche dire che «le persone con un'alta formazione sono vittime di un più veloce svilupparsi della malattia» e arriverà a desiderare di avere il cancro piuttosto, in modo da non ridursi a uno scherzo, a non essere ridicola, a riconoscersi in se stessa, a venire compatita e non schernita. Con l'ausilio della tecnologia che non le manca (si permette spesso pranzi e cene fuori, ha una casa al mare, lascia il lavoro) cerca di limitare o almeno tenere sotto controllo i danni del morbo: risponde ogni giorno a una serie di domande su se stessa, gioca con la figlia maggiore a una sorta di cruciverba online, si registra per darsi le istruzioni su come suicidarsi quando ormai la malattia avrà avuto la meglio sul suo raziocinio. Rivedrà il video – non sappiamo dopo quanto tempo, perché il tempo è diluitissimo durante tutta la pellicola che ci dà sporadici accenni delle stagioni in cui ci troviamo – e noi la vedremo cambiata, trasformata, ma la trasformazione è stata così lineare che non ce ne siamo accorti. Sempre bravissima, Julianne Moore, finalmente vincitrice della statuetta che spesso le è stata sottratta a discapito di emergenti poi scomparse – una statuetta che corona una carriera altrettanto brillante e non certo una pellicola particolarmente meritevole. Come il solito marito mèlo della protagonista ammalata (farebbe eccezione il più letale Away From Her), Alec Baldwin è sottotono – rispetto, per esempio, al 30 Rock che l'ha premiato in ogni fronte – e la messa in scena, la fotografia sempre luminosa, i vestiti composti, gli interni borghesi, tutto ricorda quel genere prossimo alle lacrime da pomeriggio televisivo nel fine-settimana, non un lavoro da premio Oscar; eppure i due registi e sceneggiatori a partire dal romanzo best-seller della Genova sono stati gli autori di Non È Peccato, all'anagrafe Quinceañera, film cult che si impose al Sundance e che toccava l'adolescenza e l'omosessualità con delicatezza e il giusto umorismo (erano stati anche registi di qualche filmetto, si direbbe, queer); questa volta senza assoluta originalità registica né testuale fanno ciò che si deve, e il tanto nominato fuori-fuoco per i momenti di smarrimento non è neanche così utilizzato. Nota al testo numero due: Richard Glatzer ha scoperto, avviato il progetto cinematografico, di essere ammalato di Sla: «la malattia gli impedisce l'uso della parola e il movimento» dice il compagno Wash Westmoreland, «ha diretto il film utilizzando un iPad, usando un solo dito, e questa sua determinazione ha regalato una motivazione in più a tutta la troupe». Nota al testo numero tre: chi conosce le dinamiche della malattia, le sue fasi, noterà la sensibilità e la fedeltà con cui sono state riportate. I due registi avevano già proposto un ruolo alla Moore che dopo due mesi rifiutò; in questo caso ha accettato dopo due giorni; ricerche sul morbo, improvvisazioni sul set – e all'orizzonte, l'omino d'oro: unico valore del costo del biglietto.

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