domenica 26 aprile 2015

anni, amori e bicchieri di vino.



Adaline:
L'eterna Giovinezza
The Age Of Adaline, 2015, USA, 110 minuti
Regia: Lee Toland Krieger
Sceneggiatura originale: J. Mills Goodloe & Salvador Paskowitz
Cast: Blake Lively, Michiel Huisman, Harrison Ford,
Ellen Burstyn, Kathy Baker, Amanda Crew, Lynda Boyd,
Hugh Ross, Richard Harmon, Anjali Jay, Hiro Kanagawa
Voto: 6.7/ 10
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Prima americana a nascere nel 1908, qualche secondo dopo la mezzanotte, guardacaso, Adaline Bowman festeggia Capodanno e compleanno insieme – ma all'età di ventinove anni, in una sera di insolita neve, la distrazione per l'evento atmosferico e il buio la fanno uscire dalla carreggiata e la gettano nelle acque gelide: battito cardiaco fermo, circolazione bloccata, apnea – risulterebbe morta, e invece un fulmine funge da defibrillatore e non solo la riporta in vita, la rende anche eterna – ed eternamente ventinovenne. Adaline però ci viene presentata nel Capodanno del 2014: in procinto di acquistare documenti illegali, una nuova identità e una nuova vita nell'Oregon, come ha deciso di dover fare ogni dieci anni per non incorrere nei problemi legali legati al suo non invecchiare, non cambiare aspetto. Di volta in volta una nuova casa, un nuovo lavoro ma un cane sempre uguale e quindi nessuna amicizia fidata (a meno che non sia cieca), nessuna relazione sentimentale – perché tolti gli anni in cui si invecchia insieme, l'amore «è solo sofferenza». Tra una fuga e l'altra vede la figlia, che ormai ha l'aspetto di una nonna, con cui ha invertito il rapporto di maternità, pure da sola e con i problemi degli anziani, le scale, i cari che muoiono – mentre Adaline dopo ottant'anni conserva le energie per imparare le lingue, addirittura il norvegese in braille, aguzza la vista per carpire i dettagli delle persone dalle loro minuzie, indica ai tassisti le strade da fare nella città che conosce a memoria. È un personaggio psicologicamente ben sviluppato, dal viso (di Blake Lively) e dall'atteggiamento malinconico, dal vestiario vintage perché succube di tanti mutamenti di stile, dal conto in banca ingiustificato e dall'aspetto un po' troppo statuario, che attraverso salti temporali vediamo negli anni '60, nei '70 della frangetta, nei '40 dei videogiornali. Tutto ciò che la circonda è un esercizio estetico per raccontare una fiaba dal retrogusto fantasy con tanto di voce fuori campo che si sforza di sciorinare legami chimici e reazioni mediche per giustificare la magia dietro al più antico fascino umano: l'immortalità. Che siamo abituati a legare, come in molti fanno notare, al vampirismo, ma che certe storie di vampiri, mi viene in mente True Blood, analizzano anche dal punto di vista sociale, economico, spesso politico; la preoccupazione (che noi vediamo) di Adaline, e che l'anziana figlia suggerisce, è solo quella affettiva: per mantenere il segreto e la regola di trasloco non può legarsi a nessuno, neanche adesso che è colta, realizzata, completa. E così vede un affascinante trentenne alla festa di Capodanno, che la segue in ascensore, che le chiede l'indirizzo di casa, e che lei deve respingere – con argute risposte e senza l'imbarazzo perso negli anni. Ma il sentimento (la carne?) ha la meglio, e si concede uno sgarro prima, poi due – finendo a festeggiare il quarantesimo anniversario di matrimonio dei di lui genitori, venendo riconosciuta per quella che è veramente, e dovendo abbattere la campana di vetro in cui si è rinchiusa per quasi un secolo… Partendo bene, a intervalli narrativi e senza troppe smancerie, incursioni del narratore, mantenendo quello strato di non-detto utile a un racconto di questo tipo, The Age Of Adaline (azzeccato titolo originale, visto che L'eterna Giovinezza nostrano non corrisponde nemmeno al vero) si piega poi al solito sentimentalismo americano viaggiando tra il pathos e il mélo e chiudendosi come la più tradizionale delle fiabe vorrebbe. Tradizionale è anche la regia del trentenne Lee Toland Krieger, in carriera il piccolo Separati Innamorati, che però si caratterizza da interessanti trovate qua e là azzeccatamente originali: la scena dell'incidente in primis ma anche movimenti di macchina più piccoli quali l'uscita da una porta scorrevole. Incorniciato da una fotografia coerente e sognante e una musica appena percettibile, è un film che non si contesta piacevolmente perché risponde a quegli archetipi narrativi incontestabili e piacevoli.

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