venerdì 10 aprile 2015

la pecora nera.



Humandroid
Chappie, 2015, USA/ Messico/ Sudafrica, 120 minuti
Regia: Neill Blomkamp
Sceneggiatura originale: Neill Blomkamp & Terri Tatchell
Cast: Sharlto Copley, Dev Patel, Hugh Jackman, Sigourney Weaver,
Ninja, Yo-Landi Visser, Jose Pablo Cantillo, Johnny Selema,
Brandon Auret, Anderson Cooper, Jason Cope,
Voto: 5.1/ 10
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Johannesburg, 2006. Dopo il blockbuster hollywoodiano Elysium fatto apposta per soddisfare gli schermi d'oltreoceano torniamo indietro nel tempo, ancora prima di District 9, e torniamo ancora in Sudafrica, e cominciamo ancora con montaggi epilettici di servizi televisivi, registrazioni locali di telecamere interne, video amatoriali a spalla, documentari coi sottotitoli. I vecchi fasti?, l'incanto dura poco. Siamo in un passato futuro in cui la polizia, per fronteggiare l'alto tasso di criminalità cittadina, è affiancata da una squadriglia di robot umanoidi creata dal geniale scienz-informatico indiano Dev Patel che in segreto aspira più in alto, a fornire una coscienza a queste “macchine”, a non renderle puri congegni che esercitano i compiti legali assegnati – nonostante la sovrintendenza di Sigourney Weaver, ormai fissa presenza in tutti i film sci-fi anche di sfuggite inutili (come questa), miri al puro profitto e/o rendimento tarpandogli le ali – a lui e a Hugh Jackman, i cui glutei desiderosi di fuoriuscire dai pantaloni cachi catalizzano l'attenzione di tutte le sue (poche) scene: egli ha costruito un robot decisamente più ingombrante e meno antropomorfo che, da solo, potrebbe fungere da neo-carroarmato con il controllo umano dallo studio – a differenza degli humandroid di Patel che si muovono da soli. Da un'altra parte ma nella stessa città i Die Antwood vivono in questa sorta di capannone dismesso circondati dall'immaginario pop 90s con cui hanno riempito i loro video musicali (topi inclusi), con le cui musiche riempiono questo film – e povero Hans Zimmer, compositore, fuori luogo quasi quanto loro nell'architettura del progetto. Ninja & Yo-Landi, cui restano rigorosamente i nomi “di battesimo” e che vestono tutta una serie di merchandising inspiegabile dentro al film (la Barbie, la maglia di Chappie), accompagnati dal terzo gangster Amerika, cercano modi di racimolare i soldi con cui pagare il capo-banda Hippo ché altrimenti ci rimettono la pelle. Vedono il telegiornale in televisione e decidono di volere uno di quei robot-poliziotto, rapiscono Patel e si ritrovano all'improvviso a dover gestire il suo prototipo, un essere di quelle fattezze ma con coscienza propria, con personalità autonoma, un bambino cui insegnare cos'è l'anima e la morte, come si dipinge e come ci si comporta nel mondo: Chappie. Se, da una parte, la mamy nullafacente in “casa” con svariati orologi da polso e un'altalena appesa al nulla gli leggerà la fiaba della Pecora Nera, dall'altra il papy lo costringerà a sfasciare macchine, minacciare persone e rubare denaro – cosa che comporterà non pochi problemi all'interno dell'azienda costruttrice. Abbandonate ogni coinvolgimento politico, di segregazione razziale, l'idea del campo di concentramento e l'innovazione registica – tutte cose che erano del District 9 di cui prima. Dimenticate anche quel protagonista, Sharlto Copley, perché, nonostante qui sia il protagonista, è scomparso nascosto dalla motion-capture dietro Chappie e doppiato poi in italiano. L'originalità del film d'esordio, che invece di robot parlava di alieni (che non potevano essere ripresi in quanto il prossimo progetto di Neill Blomkamp è appunto Alien), incontra la produzione major dell'opera seconda e si riduce a un ibrido fatto di cose buone e cose cattive, momenti grotteschi che guardano ai Guardiani Della Galassia e rese dei conti finali alla Avengers o, meglio, Transformers. D'altro canto film-feticcio del regista sudafricano è appunto Robocop, cui fa fare un salto indietro portandolo all'età dell'istruzione di Pinocchio – e gli piace concludere al contrario, capovolgendo il desiderio: se invece di voler essere tutti umani, diventassimo tutti robot? La sostanza, sotto, non manca; i temi da affrontare e approfondire, anche sociali, anche etici, ci sono. Il problema è che si scontrano con la malavita kitch impossibile da prendere sul serio, un Jackman che parla da solo (impossibile da prendere sul serio) e un drone impossibile da non amare che però, una volta inquadrato, sappiamo perfettamente dove ci porterà.

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