mercoledì 20 maggio 2015

interceptor.



Mad Max: Fury Road
id., 2015, Australia/ USA, 120 minuti
Regia: George Miller
Sceneggiatura non originale: George Miller,
Brendan McCarthy e Nick Lathouris
Cast: Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult,
Hugh Keays-Byrne, Josh Helman, Nathan Jones, Zoë Kravitz,
Rosie Huntington-Whiteley, Riley Keough, Abbey Lee,
Courtney Eaton, John Howard, Richard Carter, Megan Gale
Voto: 8/ 10
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Mel Gibson era nessuno quando fu messo alla guida dell'Interceptor, poliziotto sposato e con un figlio, innamorato della prole tanto quanto della moglie, in un fantascientifico scenario semi-apocalittico, semi-contemporaneo fatto di strade steppose nella periferia americana bazzicate dalle gang di motociclisti, centauri, briganti al volante desiderosi di adrenalina su ruote o con manganelli: il film si chiamava Mad Max, girato con pochi spiccioli tutti messi dalle tasche del regista, un pugno di macchine utilizzate, poi riverniciate e utilizzate per altre scene: a sorpresa, incassi stellari – il maggior incasso di un film così indipendente prima di The Blair Witch Project. Volume secondo: budget triplicato e stuntmen a rischio di morte vera, molti silenzi e infinite scene di corse, rincorse, violenze gratuite. Ma lo scenario cambia, l'apocalisse è più sentita: siamo in un non-luogo dove l'oro primo è la benzina e i popoli tornati a uno stato primitivo, almeno esteticamente, sono tribù in guerra. Un bambino ci racconta la storia fuori e dentro il campo, un bambino col meccanismo di un carillon (attenzione al dettaglio perché ritorna). In Italia si chiamarono, entrambi i film, col nome dell'automobile – ma ce n'è un terzo, rinominato Mad Max, girato a quattro mani; George Miller però, decretato «genio» nel trailer di questa nuova pellicola, parte da questa seconda storia, dalla post-apocalisse bramosa di petrolio (e acqua), e nel momento più fiacco del cinema americano fa ciò che ci si aspetta: un reboot. Ci pensava già nel 2001, quando ormai sembrava chiaro che aveva dato una svolta alla sua carriera (Babe, Happy Feet), e quando credeva di poter tornare a dirigere Gibson in quello stesso ruolo. Lo deve rimpiazzare, anagraficamente parlando, con Tom Hardy – un inedito vocione rauco, per quelle poche battute che biascica: non facciamoci illudere dall'incipit, dalla voce fuori campo che poi scompare, dall'ellisse narrativa che ci racconta il rapimento e la prigionia di questo nuovo Max in questa tribù maschilista e misogina, capeggiata da un energumeno con pochi muscoli e tutta protesi, quasi incapace di respirare, di muoversi – come molti altri dei leader delle gang: impossibilitati alla lotta e, quindi, strateghi. Lavaggio del cervello ai sudditi maschi, che si dividono in piloti di auto da deserto o giovani sacrifici in attesa di morte gloriosa, tutti fedeli innamorati del sovrano – il sovrano ha vari figli e soprattutto varie mogli, che insieme all'unica donna del rango che ci viene presentata, Charlize Theron aka Imperatrice Furiosa, senza un braccio e con un make-up alla Blade Runner, alla guida di una cisterna stanno cercando di fuggire dal luogo di podestà verticale verso un giardino eterno di acqua e vita pura da ri-abitare, da ri-piantare. Ma la fuga non è semplice perché è pedissequamente controllata. È da qui che il film comincia: e non perde mai il nodo che intreccia il tempo della storia a quello del racconto. Non c'è spazio per la retorica, per dirci chi siano queste genti, queste e le altre che incontriamo (i ricci, i corvi), non abbiamo tempo per imparare i nomi delle tribù o dei personaggi, i loro saluti, le abitudini di fronte alla morte violenta o a quella auto-imposta. Si corre sulla strada secca e assolata, rocciosa, impervia, si scansano i nemici dalle più disparate trovate belliche e ci si chiede in quanti effettivamente arriveranno alla meta, perché i morti non sono pochi – se si arriverà alla meta. Senza concedersi totalmente al digitale e senza perdere quell'impasto kitch tra Fast & Furious e certe protesi di Dune – ma anche di Star Wars – il film non-fantascientifico che contaminò Terminator e Ken Il Guerriero torna ai suoi fasti iniziali quintuplicato in potenza: è cinema puro, cinema d'intrattenimento puro, di genere diremmo, che rinuncia a tutti quei momenti di silenzio verso una colonna sonora (diegetica!) che affonda le radici nel mix di generi: davanti al quale in molti potranno storcere il naso: io no.

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