venerdì 15 gennaio 2016

Adrian's.



Creed –
Nato Per Combattere
Creed | 2015 | USA | 2h 13min
Regia: Ryan Coogler
Sceneggiatura: Ryan Coogler & Aaron Covington
Basata sui personaggi di Sylvester Stallone
Cast: Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson,
Phylicia Rashad, Andre Ward, Tony Bellew, Ritchie Coster,
Graham McTavish, Malik Bazille, Ricardo McGill, Gabe Rosado
Voto: 6.8/ 10
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Chi avrebbe mai pensato che il duo Ryan Coogler - Michael B. Jordan dopo il bel Fruitvale Station che si fece strada tra i premi del cinema indipendente due anni fa, avrebbe sfornato non il settimo Rocky ma il primo Creed. Il soggetto è del regista – per cui viene da domandarsi dove abbia tenuto nascosta la passione per la boxe fino ad oggi: e di Jordan, dove abbia messo quei bicipiti e quel trapezio. Certo il punto di partenza deve essere quello: il figlio di Apollo Creed che non ha mai conosciuto il padre e fa entra-ed-esci da riformatori e istituti sociali viene su con il pugno facile e la voglia di seguire le orme paterne – senza farne il nome, ovviamente. Si fa chiamare infatti Johnson come sua madre e va a tampinare Balboa per convincerlo a diventare suo allenatore. Molti «no», infine il «sì» che fa cominciare il film. Sylvester Stallone con meno botulino che alle cerimonie di premiazione usa un unico tono per dire qualsiasi cosa – ma dice bene, mentre tutto il resto della faccia non si muove. Ricorda i tempi in cui era uno sconosciuto che si presentava come attore ai provini e poi finiva a scrivere le sceneggiature – ed è il primo film della saga che non scrive. Sarà per questo allora (?) che c'è un problema di esasperante banalità narrativa che avvolge il già banale sviluppo della vicenda: la scappata da casa, la musica troppo alta al piano di sotto al nuovo appartamento, Tessa Thompson (guardacaso nera come il protagonista) guardacaso che apre la porta e si fa invitare a cena. Poi liti con l'allenatore, liti con la morosa, riappacificazioni, l'incontro degli ultimi 20 minuti che macina tutti e 12 i round. Un film sulla boxe e sulla scalata sportiva come cento milioni di altri film sulla scalata sportiva e sulla boxe – con la differenza che questo, a detta dei pugili veri, è un tripudio di impossibilità a partire dal troppo sangue versato (ad esempio, ad Adonis a metà incontro si chiude completamente un occhio) (che nella scena successiva è completamente aperto). Per accorciare i tempi, l'incontro del secolo tra il figlio di Creed (che merita?, o è solo nome?) e il campione di pesi arriva dopo una unica lotta clandestina e sono già stendardi, dirette nazionali, stampa e televisione. Dopo il sottofinale è chiaro che la speranza è quella: che il film vada bene in modo da continuare il franchise confidando nel successo dell'antenato – che tra l'altro, Rocky fu famoso e annoverato nella Hall of Fame dei pugili esistenti perché bianco ai tempi dei neri, caso unico di tecnica mentre gli afroamericani erano i veri campioni del genere; adesso, dopo anni, si ribalta la cosa e a detta del co-protagonista (Golden Globe per l'interpretazione di supporto e Oscar dietro l'angolo con tripudio anche dei mobili) lentamente Rocky svanirà dalla scena fino a non sapere più niente di lui per lasciare spazio al vero personaggio principale. Intanto Ryan Coogler si attiene al modello e confeziona un film con i suoi ralenti mentre ci si allena, i montaggi alternati, la parabola infanzia-difficile-nei-centri-di-recupero/ adolescenza-con-la-testa-a-posto – e solo in alcune scene si lascia andare al mestiere, tipo la lunga camminata dal camerino al ring poco prima dell'incontro finale, un pianosequenza silenzioso, con i due attori di spalle, spezzato da una frase detta per forza: uno spiraglio in un film del genere.

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