venerdì 1 gennaio 2016

carol of the bell.



Carol
id. | 2015 | UK, USA | 1h 58min
Regia: Todd Haynes
Sceneggiatura: Phyllis Nagy
Basata sul romanzo Carol di Patricia Highsmith (Bompiani)
Cast: Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler,
Jake Lacy, Sara Paulson, John Magaro, Cory Michael Smith
Voto: 7.9/ 10
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Che responsabilità essere «il miglior film attualmente in sala», il film col maggior numero di nominations ai Golden Globes (cinque: film, regia, entrambe le attrici protagoniste e colonna sonora), con due interpreti femminili tra le migliori – una e mezzo in realtà, ché Cate Blanchett è un manuale di recitazione ma Rooney Mara, nonostante il premio (motivante?) a Cannes, non è che proprio passi alla storia; e da tanta responsabilità derivano tante aspettative, per cui in molti, tra quelli che hanno visto Lontano Dal Paradiso, dello stesso regista, non troveranno molto di nuovo: non troveranno, in generale, novità nell'impianto e nel genere. Ma il melodramma, in questo caso, è punto di partenza e punto di arrivo, celebrazione della categoria: ispirazione per una messa in scena che ricalchi quella, un film fatto come si faceva negli anni '50 che racconta – a partire dal retrogusto thriller, con tanto di pistola, che guarda a Gilda ma che è frutto della penna di Patricia Highsmith, dal cui romanzo omonimo è tratta la sceneggiatura di Phyllis Nagy (guardacaso una donna), che è la scrittrice di Mr. Ripley. E le feste natalizie, che spesso ascrivono una pellicola a quel catalogo di film (on-demand?) da fine dicembre, inizio gennaio, quasi improponibili durante il resto dei mesi, non sono altro che una metafora dell'ipocrisia della società americana che si sforza di farsi piacere, e piacere, in una manciata di giorni – stesso sottotesto che era del film di cui prima, ma qui i doppi sensi sono esasperati. La Carol del titolo incontra Therese nei grandi magazzini in cui la seconda lavora: cerca un trenino elettronico da regalare alla figlia il venticinque. Con l'arguzia di chi è meno giovane, lascia (dimentica?) il suo paio di guanti sul bancone e Therese cerca di mettersi in contatto con lei per restituirglieli – finiscono a pranzare insieme, durante una pausa; poi finiscono a girare l'America in macchina attraverso varie stanze d'albergo. Carol è sposata ma il suo matrimonio è finito. Lei parrebbe essere l'unica ad ammettere l'evidenza, a desiderarla, davanti al velo di convenzioni e obblighi che il periodo storico le impone. Il marito la costringe al vincolo nonostante non vivano più insieme con ricatti e rancori che vanno indietro nel tempo, al tempo in cui Carol aveva una relazione non meglio definita con Sara Paulson. A Carol piacciono le donne, e non fatica a negarlo, addirittura arriva ad urlarlo nonostante quello che potrebbe conseguire; Therese chiede al suo fidanzato: «sei mai stato innamorato di un altro ragazzo?» con l'ingenuità di chi non ha ricevuto nessun tipo di educazione. Le costrizioni di Brokeback Mountain che trovano sfogo soltanto nell'isolamento bucolico qui si fanno Thelma & Louise in macchina, guardando a Mildred Pierce e ai suoi impeccabili interni medio-borghesi, aristocratici, color pastello: la fotografia, la musica senza precedenti di Carter Burwell confezionano un'altra metafora, un'altra perfezione che è solo apparente, superficiale, per mascherare le peripezie legali e le minacce individuali. Todd Haynes torna sui suoi passi: torna a dirigere la Blanchett dopo Io Non Sono Qui, film-collage, montage of heck, su un Bob Dylan immaginario dopo il realistico Brian Slade di Velvet Goldmine. Ma più che il “periodo queer”, sono il film con Julianne Moore e Kate Winslet a fare da eco, memori di personaggi forti, donne contro corrente, ribelli, sole senza nessuno, che non accettano supinamente e fanno qualcosa per cambiare: e cambiano un film solo all'apparenza uguale a tanti, come tutti i grandi film.

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